Alternative Lex

 

di Michela C.

 

 

La ragazza parcheggiò il suo vecchio fuoristrada stracarico di bagagli non appena vide in lontananza le prime case della cittadina. Scese e si guardò intorno: campi, verde, mandrie di mucche… Il sole brillava nell’aria cristallina e lei, voltandosi verso di esso ad occhi chiusi, ne poté percepire il tepore sulle gote. Sorrise e si ripeté: “Ho fatto la scelta giusta”. Non era una sorta di auto-convincimento: stava finalmente per incanalarsi nel genere di vita che aveva sempre desiderato. Risalendo in macchina, si soffermò per alcuni brevi istanti ad osservare la direzione da cui proveniva: Metropolis, ormai lontana. Sorrise di nuovo e cominciò ad armeggiare con un block-notes su cui erano segnati alcuni indirizzi. Prima di scegliere un appartamento, però, voleva visitare il suo nuovo ambulatorio, già affittato. Non vedeva l’ora.

 

Una settimana dopo

 

Aveva iniziato solo quella mattina, ma già sentiva una certa familiarità con quel laboratorio. Era attrezzato quanto quello della Luthorcorp di Metropolis, solo molto più tranquillo, e soprattutto lì sarebbe stata finalmente libera di seguire le sue ricerche; certo, al momento stava svolgendo dei normali compiti di routine assegnatile dai nuovi superiori, ma sapeva che, non appena avesse trovato materiale su cui lavorare, avrebbe goduto di una certa autonomia.

Stava preparando dei composti di base per le ricerche dei colleghi, un’operazione semplice ma che richiedeva mano ferma e precisione. Teneva la provetta davanti agli occhi, nella mano guantata in lattice, e con una pipetta contava le gocce di preparato. Immersa com’era nella sua operazione, non si era accorta che qualcuno era entrato nel laboratorio, così quando vide davanti a sé quel ragazzo sui ventisei anni, vestito elegantemente, mani in tasca e uno sguardo incredibilmente penetrante, trasalì.

-       Buonasera. - fece lui, con un tono di voce educato e composto.

-       Buonasera… Ha l’autorizzazione per essere qui? - rispose lei, un po’ intimidita.

Lui piegò di lato la testa, guardò altrove e sorrise impercettibilmente, pareva divertito. Quindi, dopo un secondo di pausa, tornò con i suoi occhi su quelli di lei e le disse: - Io sono Lex Luthor.

Lei rimase di stucco, per poco non le cadde la provetta. Sapeva che il suo dirigente sarebbe stato il figlio di Lionel Luthor, ma se lo aspettava completamente diverso. Al padre non assomigliava affatto.

-       Oh cielo! Mi scusi, davvero, non l’avevo riconosciuta! - appoggiò la provetta e si sfilò il guanto - Io sono…

-       La dottoressa Gloria Savino, il nuovo acquisto della Luthorcorp di Smallville. La stavo aspettando. Piacere di conoscerla.

-       Il piacere è tutto mio - rispose sorridendo.

La ragazza iniziò a studiarlo, mentre si stringevano le mani: era alto, fisico asciutto e completamente calvo. La sua compostezza non era freddezza, era un atteggiamento diverso, che non avrebbe saputo interpretare. Quella stretta di mano era amichevole, e quegli occhi, puntati fissi su di lei, parevano essere in grado di indagare fin nei recessi più profondi della sua anima.

-       E’ strano che non mi abbia riconosciuto. Fino a pochi anni fa, il mio viso era spesso sulle copertine dei giornali, a Metropolis. - Non suonava come una domanda, sembrava nascondere come un secondo fine; Gloria non capiva quale fosse, quindi decise di rispondere con sincerità:

-       A dire il vero, non seguo molto la stampa; leggo solo riviste scientifiche e seguo la politica internazionale su internet.

Lei sorrideva, lui annuì con un’espressione enigmatica. Aveva letto qualche ora prima il suo curriculum: pur non essendo laureata in chimica o biologia, alla Luthorcorp di Metropolis occupava un grado pari a quello di un ricercatore. Per tanti anni aveva frequentato i laboratori di analisi dell’Università per pagarsi gli studi, acquisendo una profonda competenza, quindi era diventata dipendente di suo padre Lionel, grazie a una menzione d’onore da parte del rettore della Facoltà. La osservò per qualche secondo, quindi, guardando il banco del laboratorio, proseguì:

-       So che è tardi, quindi non voglio farle perdere altro tempo, vedo che è ancora impegnata nonostante l’ora. Volevo soltanto esprimerle il mio benvenuto e augurarle buon lavoro.

-       Grazie, lei è molto gentile.

 

* * *

 

Mentre si incamminava sul vialetto, Gloria osservò la tabella che aveva in mano, ben ordinata e compilata in buona parte. Sebbene fosse arrivata solo da dieci giorni e il suo ambulatorio non fosse ancora pronto, aveva visitato già sei delle undici fattorie di Smallville; ora si accingeva a fare lo stesso per una delle più importanti: quella dei Kent, che secondo i suoi dati possedeva una mandria di circa 60 capi. Si era annunciata già in mattinata, quindi la stavano aspettando.

Una donna era intenta a sistemare delle piante nel cortile; non appena la notò, si avvicinò sorridente, le tese la mano e si presentò:

-       Salve, io sono Martha Kent. Lei deve essere la dottoressa…

-       Sì, sono io, ma può chiamarmi semplicemente Gloria. Piacere di conoscerla.

Scambiarono alcune parole, quindi la signora Kent, scusandosi per non poterla accompagnare, le indicò la direzione verso cui la mandria stava pascolando, e dove avrebbe potuto trovare anche suo marito.

Così Gloria, con la sua valigetta da veterinario in una mano e la tabella informativa nell’altra, si avviò lungo un sentiero; le mucche erano oltre la collina, e dopo qualche decina di metri iniziò a sentire i primi muggiti. Era bellissimo.

Anche il signor Kent si dimostrò affabile e amichevole, e iniziarono subito il lavoro di catalogazione. Sulla tabella segnava le informazioni generali riguardanti l’intera mandria, mentre su altri fogli da compilare indicava le condizioni di ciascun capo, con molta precisione. Jonathan Kent era stupito dall’organizzazione della ragazza, così giovane eppure così preparata, mentre Gloria era stupita dall’ottima condizione della mandria: tra tutte quelle visitate, era la migliore.

Erano arrivati ormai a metà del lavoro, quando videro in lontananza una figuretta umana avvicinarsi.

-       Ah, è mio figlio Clark. Lo conosce?

-       No, non ancora…

Clark si avvicinò; aveva con sé due bottigliette d’acqua fresca ed un sorriso amichevole in viso.

-       Sono venuto a dare una mano ed a portarvi qualcosa da bere. Io sono Clark, dottoressa Savino.

-       Piacere di conoscerti, e chiamami pure Gloria.

Clark aveva uno sguardo limpido, ma il suo atteggiamento tradiva una sorta di perenne imbarazzo. Si offrì di sostituire il padre, così il signor Kent si congedò e tornò alla fattoria dopo aver dato un’affettuosa pacca sulla spalla al figlio. “Che bella famigliola!”, non poté fare a meno di pensare Gloria.

In un’ora scarsa, tra una chiacchiera e l’altra, completarono il lavoro; mentre la giovane veterinaria finiva di compilare l’ultima scheda, Clark iniziò a farle domande sulla sua professione, incuriosito da quel nuovo arrivo.

-       In questi giorni, passando per Elm Street, ti ho vista spesso indaffarata a sistemare il tuo ambulatorio…

-       Sì, so che qui non ci sono solo mandrie, quindi era necessario un luogo dove accogliere anche cani da fattoria e quant’altro. Poi lì posso tenere tutti i miei strumenti da veterinario, gli archivi…

-       Capisco. Se ti servisse aiuto per traslocare o sistemare, io e il mio furgone siamo a tua disposizione!

-       Grazie, come sei gentile! - esclamò lei, stupita. Sollevò lo sguardo dal foglio e gli sorrise, quei Kent le piacevano sempre di più.

-       Di nulla. Lavori anche per la Luthorcorp, non è vero?

Lei sollevò ancora lo sguardo: - E tu come lo sai?

-       Me l’ha detto Lex.

-       Luthor? Vi conoscete?

-       E’ il mio migliore amico! Mi ha detto che vi siete incontrati una volta soltanto.

-       Sì, un paio di giorni fa. Deve essere una persona interessante.

-       Tu gli hai fatto una buona impressione.

-       Bene, la cosa è reciproca. - concluse sorridendo. Erano due persone molto diverse Lex e Clark, ma sentiva che avevano qualcosa in comune. Sperava di poter conoscere meglio entrambi.

-       Cosa fai di preciso per la Luthorcorp?

-       Ricerche in laboratorio. Per ora sono una sorta di manovale, finché non avrò trovato un progetto da sviluppare tutto mio. Anzi… - disse guardandosi intorno - Posso farti alcune domande riguardo la vostra mandria?

Venne a sapere che la mandria dei Kent pascolava sempre in quel territorio, ove l’erba era così rigogliosa. Forse c’era un legame tra l’ottima salute dei capi e la composizione minerale di quella terra. Poteva essere uno spunto eccellente da cui partire.

 

* * *

 

-       Sono autorizzato a entrare?

Gloria alzò lo sguardo dai suoi campioni in analisi e vide Lex Luthor appoggiato alla porta del laboratorio, con un sorriso impercettibile in viso, le mani in tasca e un’espressione ironica.

-       Prego, entri pure, signor Luthor! - fece lei, apprezzando la battuta.

-       La trovo sempre qui, dottoressa. Sono le nove e mezza di sera e lei sta ancora lavorando?

Lei sorrise. Effettivamente faceva un po’ stacanovista.

-       Sì, ma queste analisi non sono quelle di routine. Si tratta di un nuovo progetto ed aspettavo di avere in mano almeno una relazione dei primi tentativi, prima farle sapere qualcosa. Contavo di prepararla stanotte, in modo tale da informarla domattina…

Lex alzò il viso verso il soffitto e sorrise ancora. Proprio una professionista.

-       Riguarda per caso i campioni prelevati stamani alla fattoria dei Kent?

-       Glie l’ha detto Clark, vero? Sì, si tratta di quelli. E’ tutto in regola, ho l’autorizzazione dei signori Kent - disse porgendogli dei moduli. Lui li prese e li osservò.

-       E questi da dove vengono?

-       Li utilizzavo nel laboratorio in cui lavoravo prima e quando sono passata alla Luthorcorp li ho adattati inserendovi il vostro logo. A Metropolis li usavamo spesso, mentre qui solitamente non si fanno prelievi sui terreni privati, a quanto so oggi è stata la prima volta. Ne avevo alcune copie e così…

-       Hanno valore legale?

-       Certamente.

Glie li riporse, sorridendo. Quella ragazza aveva un bel modo di lavorare, e seppure fosse laureata in veterinaria, sapeva muoversi in laboratorio anche meglio di molti biologi e chimici che conosceva. Forse quel suo progetto era un buco nell’acqua, ma dimostrava un certo acume e spirito d’iniziativa. Che ci faceva a Smallville?

-       E lei cos’ha fatto per essere esiliata qui? - le chiese a bruciapelo.

-       Come, scusi?

-       Non capisco perché sia stata mandata qui; alla Luthorcorp di Metropolis ci sono molte più possibilità.

La ragazza sorrise, anche se ogni domanda formulata da quel ragazzo suonava come se ne contenesse altre mille. Comunque era un tipo schietto nella sua enigmaticità, e ciò le piaceva.

-       Quella di venire qui è stata una mia scelta. Volevo coniugare al massimo le mie due passioni, ovvero la ricerca e la veterinaria, e nessun posto poteva essere migliore di questo. Ero stanca di curare animali d’appartamento soprappeso e di svolgere ricerche altrui. Così, quando ho saputo che McNamara, veterinario di Smallville, andava in pensione, ho chiesto il trasferimento.

Avrebbe voluto sapere come mai vedesse quella cittadina come un esilio, ma non aveva il coraggio di chiederglielo; voci di laboratorio parlavano di screzi tra lui e suo padre, era forse vero?

-       Sono contento per lei. Appena ha del materiale sulla sua nuova idea me lo faccia avere, ma si prenda tutto il tempo che vuole. Dorma, stanotte.

 

* * *

 

-       Gloria! Ciao, accomodati qui, ti presento alcuni amici!

Clark Kent l’aveva notata al bancone del bar, con un cappuccino in mano, e subito l’aveva invitata nel suo gruppo, sebbene si fossero conosciuti solo il giorno prima.

-       Gloria, questi sono Chole e Pete; ragazzi, questa è la nuova veterinaria di Smallville. Lana, vieni anche tu.

La ragazza così bella e dolce che le aveva preparato il cappuccino lasciò il bancone e si avvicinò alla comitiva, presentandosi e unendosi al gruppo. Gloria si trovò bene con loro, erano tutti molto simpatici ed amichevoli e in poco tempo iniziarono a conversare piacevolmente, in modo che poté conoscere, a poco a poco, le passioni e il carattere di tutti.

-       Devo tornare al lavoro, è arrivato il mio capo! - fece a un tratto Lana, sorridendo.

Tutti si voltarono verso la vetrina del locale e notarono una Ferrari nera parcheggiare lì di fronte. Pete, vedendola, disse:

-       E’ meglio che io vada.

Gloria salutò entrambi con un sorriso, ma l’apparizione di quell’automobile l’aveva un po’ scombussolata. Una Ferrari… Non ne aveva mai vista una dal vivo, ma fu presa come da una certa nostalgia. Si stupì ancor di più quando vide scendere proprio Lex Luthor. Chloe, notando quello stupore, la informò:

-       Non so se lo sapevi, ma Lex è il proprietario del Talon.

Lex entrò e, ordinato un cappuccino, si aggregò al loro tavolo, salutando tutti.

-       Buongiorno, dottoressa - disse a lei.

-       Buongiorno, signor Luthor - rispose. Sembrava divertito da quel cerimoniale.

Rimasero a parlare tutti e quattro, finché Chloe e Clark andarono a scuola insieme a Lana. Anche Gloria si congedò, spiegando che quel mattino avrebbe aperto il suo ambulatorio.

Lex, ancora seduto a quel tavolo, la seguì con lo sguardo mentre attraversava la strada e si stupì nel vederla armeggiare con una bicicletta; sì, stava proprio fissando la sua borsa da veterinaria su una mountain-bike rossa. Sorrise e guardò l’orologio: doveva andare in ufficio, aspettava notizie importanti da Metropolis.

 

* * *

 

La festa proseguiva tra un drink e qualche conversazione stantia con alcuni finanziatori; Lex si stava annoiando, tutto aveva il sapore di già visto e già sentito, al confronto una serata al Talon di Smallville sarebbe stata uno sballo. Metropolis, soprattutto il sabato sera, poteva offrire divertimenti di ogni sorta, i locali più alla moda e le discoteche più moderne; certo, quello era un mondo a cui non apparteneva più, ma tornare nella sua città e trovarsi sepolto dalle chiacchiere di quel gala lo faceva un po’ irritare… Possibile che non esistesse un’aurea via di mezzo? Il passaggio dal ragazzo turbolento all’uomo responsabile era così netto?

La sua mente elaborava questi pensieri, quando notò una figura familiare fare il suo ingresso in quel momento; indossava un abito da sera azzurro chiaro, molto elegante, ed i lunghi ricci castani erano raccolti in una morbida acconciatura. Stentò a riconoscerla: era Gloria, subito accolta molto amichevolmente dal direttore del museo. “E quei due come fanno a conoscersi?”, si chiese. Anche Clark, Lana e Chloe la notarono, andando subito a salutarla. Lex attese qualche secondo, poi fece altrettanto.

-       Come mai qui, dottoressa?

-       E’ stato Paul ad invitarmi. - disse indicando Paul Stewart, direttore del museo -  E lei, signor Luthor?

-       Lex è uno dei principali finanziatori del progetto di ristrutturazione. - la informò Stewart sorridendo. - Ora, se volete scusarmi…

I due rimasero soli ed iniziarono a conversare. Sarebbe stato difficile giudicare chi tra i due fosse il più curioso.

-       Lei è ovunque, signor Luthor! - esclamò Gloria sorridendo.

-       Anche lei, dottoressa. - ribatté Lex. - Come mai conosce così tanto il direttore?

-       E’ stato tanti anni fa, quand’ero al primo anno di università. Venivo qui praticamente tutti i giorni, per preparare l’esame di anatomia animale. Esiste un’intera sezione di scheletri animali, non aperta al pubblico… E’ in questa ala, nei sotterranei. Mentre li studiavo, li archiviavo e riordinavo; il direttore era molto soddisfatto, così siamo diventati buoni amici. Vengo spesso qui, c’è una biblioteca scientifica molto fornita. Oggi dovevo venire a Metropolis per svuotare definitivamente il mio appartamento, così ne ho approfittato per visionare alcuni trattati, sempre per la ricerca di cui le avevo parlato. Sono passata a salutare Paul e lui mi ha invitata.

-       Capisco.

Si avviarono sul terrazzo, per parlare con più tranquillità e ammirare le luci della città.

-       E lei? Come mai finanzia questa ristrutturazione?

-       L’arte è una delle mie passioni. Anch’io venivo spesso in questo museo, quand’ero giovane; mi accompagnava mia madre e mi spiegava ogni dipinto, dettaglio per dettaglio. A volte mi portava per quindici giorni in Europa: con lei visitai i musei di Parigi, Londra, Vienna, Amsterdam… Diceva sempre che mi avrebbe portato anche in Italia, in città come Roma e Firenze…

-       E non c’è mai andato? - proseguì lei, cercando di frenare quella strana sensazione di tristezza e magone che aveva provato sentire il nome di quello stato.

-       No - disse abbassando lo sguardo. - Si ammalò e… morì, prima che potessimo fare quel viaggio.

-       Oh… Mi dispiace. - sussurrò Gloria, sentendo ancora più tristezza.

-       Non è colpa sua.

Rimasero per qualche secondo in silenzio, osservando la festa proseguire all’interno. Lana e Clark parlavano, mentre Chloe scattava foto per il giornalino d’istituto, il Torch.

-       Clark è venuto con lei?

-       Sì, mentre Lana è tra gli invitati e Chloe è qui per puro spirito giornalistico. - disse sorridendo.

-       Ho notato le alchimie che girano in quel gruppetto - annuì lei, ridendo.

-       E lei, dottoressa? Per il sogno di Smallville ha lasciato la sua famiglia qui a Metropolis?

Quella domanda la colse di sorpresa; sperava di essere riuscita a sviare il discorso, ma con Lex era impossibile. Un’impercettibile ombra le coprì la voce mentre rispondeva:

-       N-no, non proprio. - fece una pausa, poi proseguì - I miei genitori erano italiani entrambi, emigrarono qui non appena ebbero mio fratello Luca, mentre dopo qualche anno nacqui io. Mia madre morì quando io avevo vent’anni e mio padre, che aveva sempre rimpianto l’Italia, decise di farvi ritorno. Luca andò con lui, mentre io avrei dovuto raggiungerli a studi ultimati.

Fece ancora una pausa, stavolta più lunga. Temeva di avere un tono troppo patetico, non voleva essere compianta. Lex rimaneva in silenzio, in attesa. Continuò:

-       Purtroppo non accadde mai. Morirono entrambi in un violento incidente stradale, poco meno di due anni dopo il loro trasferimento. Non ero mai andata a trovarli, a malapena riuscivo a mantenermi con gli studi e il viaggio per l’Italia era molto caro. Andai là solo allora, per il loro funerale, e non vi feci più ritorno.

-       Gloria… Mi dispiace…

-       Non è colpa tua, Lex. - rispose sorridendo.

Quelle confidenze avevano abbattuto il cerimoniale di “signore” e “dottoressa”, ma soprattutto li avevano resi molto vicini. Su quel terrazzo del museo era nata una splendida amicizia.

 

* * *

 

In fabbrica le avevano detto che Lex era nel suo ufficio a casa, così si era avviata verso una viuzza isolata ove si ergeva la residenza vittoriana dei Luthor. Lasciò la bicicletta giusto fuori dal cancello, legandola alle inferriate, quindi si avvicinò all’ingresso. L’atmosfera della casa intimidiva un po’, ma doveva consegnare dei documenti importanti al suo amico, nonché capo.

Quando la vide fare capolino all’ingresso del suo ufficio domestico, Lex sorrise e la fece accomodare davanti all’imponente scrivania.

-       Dimmi tutto.

-       Innanzitutto volevo ringraziarti per il passaggio di sabato sera; sei stato molto gentile.

-       Ma ti pare? Il tuo appartamento di Metropolis era sulla strada.

-       Non te l’ho detto… Ma avevo sempre desiderato fare un giro in Ferrari! - Lex sorrise - Comunque… Ho del materiale da consegnarti. In questo week-end sono rimasta a Metropolis ed ho preparato una prima relazione della mia ricerca.

Armeggiò un po’ nella sua borsa e ne estrasse una dispensa rilegata, quindi la porse a Lex.

-       Ci sono tutte le analisi dei campioni prelevati dai Kent e i test comparativi con altri campioni prelevati altrove. Ho spiegato tutto il progetto passo per passo, e i primi risultati sono incoraggianti. Ho allegato anche le copie delle varie autorizzazioni e un cd-rom con tutto il materiale, se volessi salvarlo sul tuo pc.

-       Sembra un ottimo lavoro. Lo analizzerò e ti farò sapere al più presto - sentenziò sfogliando la dispensa.

-       Bene. Ah, prima di tornare a Smallville, sono passata a salutare alcuni colleghi ai laboratori della Luthorcorp, dove lavoravo prima, e lì ho incontrato un tuo dipendente che mi ha detto di consegnarti questo plico.

Estrasse un plico giallo, che Lex sembrò riconoscere con un certo turbamento. Lo prese senza dire una parola e lo aprì; c’erano dei documenti, dei dischetti e un biglietto. Lesse quel biglietto, scosse la testa contrariato e lo stracciò, stringendo le labbra in un moto di rabbia.

-       Tutto bene, Lex?

-       Aspettavo questo pacco, ma non dovevi essere tu il corriere.

-       Beh, è arrivato… - ribatté lei, sulla difensiva.

-       Non era per mancanza di fiducia nei tuoi confronti, Gloria. E’ che non dovevano coinvolgere anche te. Poteva essere rischioso.

La ragazza sentì una certa ansia a quelle parole. Cosa voleva dire?

-       Spiegati meglio: cosa contiene quel pacco?

Lex la guardò intensamente e rimase in silenzio. Evidentemente erano faccende che non dovevano riguardarla.

-       Ok, ho capito - annuì lei, tra il rassegnato e lo stizzito.

-       Non te la prendere, ti prego.

-       Va bene. - disse, tornando sorridente. - Ora devo andare, ho del lavoro da sbrigare. A presto!

Lex la salutò e, alzatosi in piedi, si voltò verso la finestra, alle sue spalle. “Quel Carson mi sentirà; che fosse rischioso per lui fare questa consegna, già lo sapeva: è per questo che lo pago. Gloria la deve lasciare fuori, se solo avessero sospettato di lei sarebbe stata in pericolo”. Quando la vide uscire dal cancello e armeggiare con la sua bicicletta rossa, non poté fare a meno di sorridere. La seguì con lo sguardo mentre montava in sella e si avviava lungo la strada, quando sentì un rombo familiare provenire dalla parte opposta della strada; si voltò e vide una delle sue auto, precisamente la Porsche, che sfrecciava veloce nella direzione di Gloria. - No! - sussurrò senza respiro, intuendo il pericolo, ma era già troppo tardi: spostandosi sulla destra, la Porsche aveva preso in pieno la ruota posteriore della mountain-bike rossa, facendola sbalzare di lato.

-       Gloria! - gridò, precipitandosi subito sulle scale per raggiungere il luogo dell’incidente.

La ragazza giaceva riversa sul prato lungo la strada, svenuta. Lì a fianco, la bicicletta, semidistrutta, e la borsa da veterinario.

 

Gloria aprì gli occhi con grande fatica; sentiva un forte mal di testa ed aveva una sensazione di vertigine; riabbassò le palpebre prima di aver bene focalizzato dove si trovasse. Quando le risollevò, riconobbe, nella penombra, una stanza d’ospedale. “Perché sono qui?”, si chiese.

-       Bentornata tra noi, Gloria.

Era la voce di Lex, seduto accanto al letto. Fece per voltarsi lentamente in quella direzione, ma non fu necessario: il ragazzo si era alzato in piedi e si era chinato su di lei, sorridendole. Lei ricambiò il sorriso e per la prima volta dopo tanto tempo, sentì di non essere sola al mondo; era ancora confusa e stordita, ma il fatto che il suo amico fosse lì accanto a lei la tranquillizzò.

-       Lex… - disse cercando la sua mano. Il ragazzo, colpito la quel gesto, prese quella mano e se la portò al petto. - Lex… Cosa è successo?

-       Hai avuto un incidente, ti hanno investita. - la informò, accarezzandole la fronte. Parlava in modo pacato, con dolcezza, quasi sussurrando.

-       … Investita?

-       Sì, circa ventiquattro ore fa. Ma stai tranquilla, te la sei cavata bene. Hai un leggero trauma cranico e qualche contusione. Ora chiamo il dottore, voleva visitarti appena ti fossi svegliata.

Annuì e lo guardò mentre usciva da quella stanza. Avrebbe voluto chiedergli di rimanere, non voleva restare sola, ma forse sarebbe parsa troppo infantile, quindi decise di rimanere buona ad aspettare il medico. Si guardò intorno; la stanza era accogliente e su un tavolo, lì accanto, erano appoggiati due mazzi di fiori: un grosso fascio di rose bianche e un variopinto misto di tulipani.

Entrò un’infermiera e da essa si informò su chi li mandasse. - Le rose sono da parte del signor Luthor, i tulipani dalla famiglia Kent - rispose quella. Gloria sorrise: era bello vivere a Smallville.

Dal dottore, a visita finita, seppe che il primo soccorso era stato prestato proprio da Lex, che sempre lui l’aveva accompagnata in ospedale con l’ambulanza e che da allora non l’aveva mai lasciata.

-       Allora, buone notizie? - le chiese Lex, entrando nella stanza poco dopo che il dottore ne era uscito. Solo allora Gloria notò la sua aria stanca; certo, era in piedi da più di ventiquattro ore.

-       Abbastanza, dovrò restare sotto osservazione ancora un paio di giorni, poi a riposo per una settimana. Poteva andare molto peggio! - sorrise. - Tu hai visto com’è andata?

-       Sì; ti hanno investito con la mia Porsche, dopo avermela rubata. L’hanno ritrovata stamani, abbandonata in un campo. Tu non ricordi nulla?

-       No; so che ero venuta da te per darti dei documenti, ma non mi viene in mente altro.

-       Spero che tu ti rimetta presto. Ora riposati. - Anch’egli sorrise, ma c’era un velo di tristezza nella sua espressione. O era solo stanchezza?

-       Anche tu: vai a casa, dormi un po’!

Lui annuì e fece per andarsene.

-       Aspetta un secondo, Lex. Vieni qui, per favore.

Il ragazzo si riavvicinò al letto; lei gli fece cenno di chinarsi e gli dette un bacio sulla guancia, dolce e delicato.

-       Grazie, Lex. Grazie di tutto.

-       Credimi, Gloria. Non devi ringraziarmi.

 

* * *

 

-       Clark, sei tu? - chiese la signora Kent sentendo chiudersi la porta d’ingresso. Stava preparando una torta di mele e il marito la aiutava.

-       Sì, mamma sono io.

-       Come sta Gloria? - domandò il padre; sapevano che era appena stato in ospedale.

-       Bene, domani la dimettono. Vi ringrazia per i fiori, ha apprezzato molto il gesto.

-       Sono venuti anche gli altri con te?

-       Sì, c’erano anche Lana, Chloe e Pete - rispose addentando una mela. Quindi sedette a tavola con loro, con aria assorta.

-       Qualcosa mi dice che stai rimuginando qualcosa… - disse suo padre.

-       Indovinato. Non riesco a capire quell’incidente; Lex era nel suo studio e da lì ha visto tutto. Qualcuno gli ha rubato la Porsche e si è precipitato verso di lei, tamponandola a tutta velocità. Se l’è cavata con poco solo perché è caduta sull’erba.

-       E cosa c’è di particolarmente strano?

-       Lex mi ha detto che l’auto ha svoltato leggermente, come se volesse proprio investire Gloria.

-       Questo l’ha detto alla polizia? - chiese il signor Kent.

-       Credo di sì, perché non avrebbe dovuto?

-       Non so… Quando è coinvolto un Luthor, tutto puzza di bruciato.

-       E’ la stessa cosa che ha detto Pete - sospirò Clark.

-       Non vorrei essere così diffidente, ma mi hai detto tu stesso che al gala del museo quei due hanno parlato per tutta la sera e che sono diventati buoni amici. Appena lei torna a Smallville, le succede una disgrazia.

-       Se fosse solo una coincidenza? - ipotizzò la moglie.

-       Pensala come vuoi, cara, ma se fossi in lei non lo frequenterei, quel ragazzo.

-       Papà, ti ricordo che è il mio migliore amico.

-       Lo so, e tu sai bene che la cosa non mi va molto a genio. Tu però hai i tuoi poteri a difenderti: Gloria non ha nulla.

 

Un mese dopo

 

Gloria schiacciò sul tasto “invio” ed iniziò la stampa delle ultime pagine del suo progetto, “Terra di Smallville”. Sospirò soddisfatta: nonostante lo stop forzato di alcuni giorni, era riuscita a completare il lavoro in poco tempo. Erano due centinaia di pagine curate nei minimi particolari, e l’idea di base era davvero buona. Aveva sfruttato la convalescenza per fare lunghe passeggiate per i campi di Smallville a prelevare campioni di terra e vegetazione, poi si era lanciata a capofitto sulle varie analisi, sforzandosi di seguire contemporaneamente l’ambulatorio e le fattorie.

Un’agevolazione l’aveva avuta da Lex, che, tornato a visitarla in ospedale una volta letta la sua prima relazione, le aveva comunicato la sua approvazione all’avvio del progetto: le aveva dato il permesso di occuparsi esclusivamente delle sue analisi, senza dover svolgere le solite operazioni di manovalanza per gli altri ricercatori, e le aveva fissato due mesi di tempo per preparargli una relazione. Lei aveva concluso il suo compito con un mese d’anticipo: il mattino successivo sarebbe andata a consegnargli quella lunga dispensa, ricca di dati, immagini e quant’altro. Dopodiché, il suo capo avrebbe deciso se avviare una progettazione e una sperimentazione.

Si stiracchiò osservando l’orologio appeso al muro: le due di notte, ed aveva pure saltato la cena. Ma ne valeva la pena! Era felice del suo presente e il piccolo incidente in bicicletta non aveva scalfito il suo entusiasmo, sebbene non se ne fosse ancora trovato il responsabile.

Sullo schermo comparve un’icona lampeggiante: “Stampa ultimata”. Spense tutto, raccolse i suoi fogli, chiuse l’ambulatorio e fece ritorno al suo appartamento, sulla nuova bicicletta che le aveva regalato Lex, dato che la sua leggendaria mountain-bike rossa si era rivelata irrecuperabile.

 

Il mattino successivo si recò al Talon per bere il solito cappuccino, e là incontrò l’allegra compagnia di Clark. Era ormai un rituale, e qualche volta si aggregava anche Lex, sebbene il suo arrivo comportasse sempre il ritorno di Lana al bancone e la dipartita di Pete. Così accadde quel mattino, quando una Jaguar metallizzata parcheggiò lì di fronte.

-       Caro il mio capo, oggi ho una sorpresa per te! - lo apostrofò Gloria con aria trionfante.

-       Cara la mia ricercatrice, tu sei una sorpresa continua - rispose a tono lui.

-       Ta-daaa! - esclamò porgendogli la dispensa rilegata.

-       Già finito? Addirittura un mese di anticipo - fece, sollevando le sopracciglia.

-       Lavora bene la nostra veterinaria, vero? - esclamò Clark sorridendo.

-       Adulatori! Ora scappo, mi aspetta giusto tuo padre per una visita a tutti i capi di bestiame della vostra fattoria.

-       Buon lavoro - disse Lex. - Appena ho finito di esaminare i dati, ti faccio avere una risposta.

La ragazza annuì sorridendo e se ne andò.

 

A sera, quando tornò al suo appartamento, Gloria trovò davanti alla porta un mazzo di rose bianche. Già dai fiori aveva capito di chi si trattasse, ma lesse il biglietto per averne la conferma. “Congratulazioni alla nuova responsabile del progetto ‘Terra di Smallville’. Lex”. Non riusciva a crederci: non solo il progetto era stato approvato e avrebbe visto la luce, ma sarebbe stata lei a dirigerlo! E con che originalità glie l’aveva comunicato… Quel ragazzo era davvero incredibile.

Entrò e lo chiamò per ringraziarlo di tutto. - Hai fatto tutto da sola, Gloria - fu la sua risposta. Quindi decisero di trovarsi al Talon per festeggiare.

 

* * *

 

Il nuovo lavoro di Gloria alla Luthorcorp si rivelò molto impegnativo, tanto che finì per dedicare alla sua professione di veterinaria solo il mattino; il pomeriggio e la sera, salvo emergenze, lo trascorreva nei laboratori. La fase di progettazione si era conclusa in due settimane, ora erano passati alla fase di sperimentazione. A sua disposizione aveva tre tecnici di laboratorio, e carta bianca. Lex Luthor credeva molto in quel progetto e lo seguiva con attenzione, mentre Gloria lavorava molto volentieri con lui.

Una sera trovò, in segreteria, un messaggio di Lex che le chiedeva di recarsi, appena possibile, a casa sua. Era un po’ preoccupata, non tanto dalla richiesta, quanto dal tono di voce del suo amico. Non l’aveva mai sentito tanto agitato.

 

Il ragazzo era alla finestra e dava le spalle all’entrata del suo studio. Gloria bussò, egli si voltò. Era molto serio.

-       Ciao, Lex. Ho trovato il tuo messaggio e sono venuta qui…

-       Grazie. Accomodati pure.

La fece accomodare su un divano, mentre lui rimase in piedi, girovagando. Non riusciva a stare fermo.

-       E’ successo qualcosa?

-       Sì. Praticamente uno dei segni dell’Apocalisse.

-       Ovvero?

-       Oggi mio padre è stato qui.

La ragazza sentì aria di tempesta. Pur frequentandosi da così tanto tempo, di suo padre non avevano mai parlato, solitamente Lex cambiava discorso, così come succedeva quando lei cercava di sapere qualcosa sul suo passato; vista però la chiusura da lui dimostrata, aveva ben deciso di non insistere, pensando che quando si sarebbe sentito pronto, le avrebbe raccontato ogni cosa.

-       Mi ha fatto una proposta. - continuò lui. - Mi ha proposto di tornare a Metropolis e di fargli da braccio destro. - Gloria rimase senza parole. - Non dici nulla?

-       Non… Non so cosa dire… Tu cosa vorresti?

Lex andò finalmente a sedersi accanto a lei, fissandola. Ella si sentì fragile e vulnerabile, sapeva che quegli occhi avrebbero potuto capire cose che nemmeno lei era riuscita ad ammettere fino a quel momento. D’altra parte, anche lui non era vestito della solita corazza di sicurezza, e le sembrava che quell’eterno enigma fosse sul punto di risolversi.

-       E’ questo il punto. Mio padre mi ha sempre considerato un fallimento, non mi ha mai amato davvero. Dice che il mio lavoro qui a Smallville è stato davvero soddisfacente, e detto da uno come lui non è poco. Mi rivorrebbe con sé.

-       E tu non aspettavi altro, vero? Te lo leggo negli occhi. Per questo Smallville era un esilio per te, o sbaglio?

Si fermò per qualche istante. Lex non parlò, evidentemente quello che stava dicendo corrispondeva alla verità. Così lei proseguì, pur sentendo come un vuoto dentro:

-       Non so perché Lionel ti abbia mandato qui, non hai mai voluto dirmelo. Qualunque ragione fosse, il tuo sogno era riparare a quegli errori e vederlo attenderti a braccia aperte, finalmente come un padre. Ora questo sta succedendo.

Non concluse il suo discorso, l’epilogo era scontato perché il suo ragionamento funzionava come un sillogismo. E poi, non riusciva a dirgli “Vai a Metropolis”. Si sentiva terribilmente egoista e codarda nel non essere capace di pronunciare quelle tre parole, ma temeva di scoppiare in lacrime e rendergli tutto più difficile.

-       Dovrei accettare, secondo te?

Lei annuì; non avrebbe saputo parlare, in quel momento. Lasciò passare alcuni lunghissimi secondi, quindi si alzò in piedi, lo guardò intensamente e gli disse:

-       Era il tuo sogno, Lex: seguilo, se credi che così si avveri. Ti auguro ogni bene.

Non riuscì a dire altro, nemmeno “buonanotte”. Si avvicinò, gli sfiorò la guancia con le labbra e, dopo avergli sorriso, se ne andò. Già sulle scale sentì le lacrime bruciarle negli occhi.

Lex si alzò, fece per seguirla, ma capì che la sua fuga era stata una difesa; si avvicinò alla finestra e la vide armeggiare con la bicicletta che le aveva regalato, notando che ogni tanto si asciugava gli occhi. Sospirò e tornò alla sua scrivania.

 

Una settimana dopo

 

Quel mattino Gloria era occupata con la mandria dei Banks, una trentina di capi tutti in buona salute. Li aveva già visitati una volta, quindi si trattava di un semplice controllo che le portò via poco meno di due ore. Quando congedò il proprietario e riassettò tutti i suoi arnesi, si stupì di vedere Lex in lontananza, che si avvicinava con le mani in tasca. Non lo vedeva da una settimana esatta, ma sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento dei saluti. Decise di andargli incontro.

-       Ciao, dottoressa. Sbaglio o mi stai evitando?

-       Ciao, capo. Cosa te lo fa pensare?

-       Oggi uno dei tuoi tecnici ha lasciato alla mia cameriera il resoconto degli ultimi esperimenti; non era mai successo, di solito venivi sempre tu e li discutevamo insieme.

-       Pensavo fossi occupato nei preparativi della partenza, non ti volevo disturbare.

Lex sorrise. - Facciamo due passi?

Si avviarono lungo un sentiero e per alcuni minuti nessuno dei due parlò. Quindi lui ruppe il silenzio: - Le tue parole mi hanno fatto riflettere, quella sera.

-       In che senso?

-       Ho capito che avevi ragione; il mio vero sogno era che mio padre fosse finalmente un padre per me, cosa che non è mai stato in tutti questi anni.

-       Allora partirai?

-       No.

Gloria si fermò; una brezza leggera le scompigliava i capelli e faceva lo stesso con la giacca di lui. Sembrava aumentare la confusione che provava in quei momenti.

-       Ma… Era il tuo sogno…

Lex fissò un punto imprecisato lungo l’orizzonte e rispose:

-       La proposta di mio padre non è dettata da un improvviso sbocciare di sentimenti verso suo figlio. Ha visto come stia procedendo a gonfie vele il mio lavoro qui, ed ha paura delle mie capacità. Tu non conosci il mio passato, Gloria, ma quando mi mandò qui fu perché di me non ne poteva più: esiliarmi era il modo migliore per rendermi innocuo. Ora, però, ha visto che tanto innocuo non sono, e mi vuole sotto il suo controllo.

Lo diceva con tono incolore, sforzandosi quasi di essere ironico, ma trasparivano l’amarezza e la delusione provocategli da quella consapevolezza. Continuò, stavolta con un sorriso, riportando i suoi occhi penetranti su quelli di lei:

-       E poi, Smallville mi ha dato tanto. Ci sei tu, c’è Clark, c’è questo nuovo progetto… Non voglio lasciare tutto proprio adesso.

-       Mi dispiace che il tuo sogno non si sia avverato, Lex… Ma sono felice che tu rimanga qui.

Egli sorrise ancora e continuarono a camminare, stavolta in un prato.

-       C’è una cosa, però, che mi turba in tutto questo - aggiunse Gloria.

-       E cioè?

-       Il tuo passato.

Lex si mise a ridere. - Pensi di essere la prima ad esserne turbata? Tutta Smallville lo è.

-       Non lo sono nel senso che intendi tu; quello che mi turba è il fatto che tu non ne voglia parlare con me, pur essendo noi amici. Non capisco se non ti fidi di me, o non mi ritieni all’altezza, o se pensi che ti giudicherei…

Si fermarono sotto ad un albero, faccia a faccia. Era l’ora della verità.

-       Non è sfiducia nei tuoi confronti, Gloria. Ho solo paura che tu, conoscendo tutto ciò che ho combinato a Metropolis, finisca per avere paura di me e allontanarti.

-       No, Lex, sei fuori strada. Qualsiasi cosa tu abbia fatto, ti ha fatto diventare quello che sei ora. - Rimase in silenzio per qualche istante, quindi si avvicinò e gli accarezzò la guancia. - Ti ha fatto diventare la persona di cui mi sono innamorata.

Lex fu totalmente spiazzato da quelle parole; non se le aspettava, non se le era mai aspettate da nessuno, non aveva nemmeno mai osato immaginare che sarebbe stata Gloria a dirgliele. La strinse a sé baciandola con trasporto, e in quel momento capì che il suo più grande sogno si era avverato: il sogno di essere amato davvero.

 

* * *

 

Gloria era sola in laboratorio; aveva sguinzagliato i suoi tecnici alla ricerca di dati e campioni da analizzare, mentre lei si stava dedicando alla preparazione della prima provetta di fertilizzante, sintetizzato secondo il suo progetto. Il giorno successivo avrebbero iniziato i primi test in serra e lei non vedeva l’ora, per questo canticchiava tra sé nel miscelare le giuste proporzioni di reagenti. Quello che era successo due giorni prima con Lex nel campo dei Banks, poi, non faceva che alimentare la visione rosea che aveva del suo presente e del suo futuro. Era felice.

-       Buonasera, dottoressa Savino.

Trasalì al sentire quella voce sconosciuta, ma si stupì ancor di più nel riconoscere, nella figura davanti a sé, Lionel Luthor. Lo aveva visto girare un paio di volte per i laboratori di Metropolis, ma non le aveva mai rivolto la parola e nulla aveva mai fatto presupporre che la conoscesse.

-       Buonasera a lei, signor Luthor. - rispose, cercando di dissimulare sorpresa e confusione.

-       Sta lavorando sul progetto “Terra di Smallville”, immagino - disse, avvicinandosi.

Aveva l’atteggiamento di chi si sente il mondo in mano; non che l’avesse mai incontrato, ma le ricordava il Re Sole. Era quasi irritante. Annuì alla sua affermazione, cercando di limitare al massimo le parole; dopotutto, non sapeva con chi aveva a che fare.

-       E’ questo il grande progetto che mio figlio tenta disperatamente di nascondermi: concime. - disse con un risolino sarcastico, prendendo in mano una provetta piena di terra.

-       E’ quello di cui si occupa la Luthorcorp - rispose Gloria, allargando le braccia.

Il signor Luthor la guardò socchiudendo gli occhi: quel sarcasmo gli aveva fatto capire che davanti a sé aveva un osso duro; inoltre, era informato del forte legame che esisteva tra quella dottoressa e suo figlio. Riappoggiò la provetta sul supporto e cominciò a girovagare per il laboratorio, curiosando qua e là.

-       Sa, signorina… Distruggere me è sempre stato il fine di Lex. Anche stavolta, la sua scelta di rimanere confinato qui è dettata da questa sua assurda ispirazione; spera di fare il colpaccio con questo progetto e con tanti altri imbrogli di cui lei non è al corrente.

-       Lei crede davvero che questo sia il motivo per cui non verrà a Metropolis? - domandò mentre lui le stava dando le spalle.

Con una compostezza altezzosa, quell’uomo si voltò, si avvicinò a lei appoggiandosi al bancone e la fissò qualche istante; quindi disse, scandendo le parole:

-       E lei crede davvero che rimanga qui perché la ama?

Gloria si sentì molto vulnerabile; non era questo il motivo che intendeva, ma rimase comunque stupita da quante cose sapesse il signor Luthor; per quanto ne era al corrente, soltanto Clark, al momento, sapeva di lei e Lex. L’uomo proseguì, vedendo il silenzio di lei.

-       A mio figlio interessa solo “Terra di Smallville”, forse l’unica freccia legale che abbia nella faretra. Lo sta lasciando sviluppare a lei, per poi liquidarla a lavoro ultimato e presentare il brevetto a suo nome. Se sarà un successo, incanalerà questi guadagni in un progetto molto più grande, che ha in mente da molti mesi e prevede la cessione forzata dell’intera impresa nelle sue mani.

-       Non le credo.

-       Sì, lo immaginavo. Ma risponda a una domanda: ricorda un plico giallo che le è stato consegnato a Metropolis da uno dei lacchè di Lex?

Alla ragazza tornò in mente quel giorno alla villa, poco prima del suo incidente. Lex aveva parlato di rischio… Quei documenti avevano forse a che vedere con la cessione di cui parlava Lionel?

-       Non aspetto la sua risposta, so che lei è intelligente ed è sicuramente già arrivata a una conclusione da sola. Ora veniamo a noi: sono qui per farle una proposta.

Gloria era sempre più sconvolta. Lo guardò con aria interrogativa.

-       Che ne direbbe di venire lei a Metropolis? La metterei a capo di un’intera sezione di laboratori e la farei nominare veterinario responsabile di svariate industrie affiliate alla Luthorcorp.

Era stupefatta e veramente senza parole. Passò quasi un minuto di silenzio, nel quale capì che il signor Luthor non avrebbe più parlato finché non fosse intervenuta lei.

-       La sua proposta è allettante, ma… Metropolis appartiene a un passato che non voglio riprendere. Qui sto bene e voglio continuare a sviluppare il mio progetto in questi laboratori.

-       E rendersi complice di un’appropriazione indebita?

-       Io continuerò su questa strada. Se le sue previsioni si avvereranno, avrò comunque la coscienza pulita, perché avrò fatto tutto in buona fede.

L’uomo sorrise, sarcastico e completamente padrone della situazione.

-       E così, tra coscienza e orgoglio preferisce la prima? - Gloria tacque, non capiva dove volesse arrivare. - Mi spiego meglio: quantomeno il suo orgoglio di donna dovrebbe spingerla a rifiutare la vicinanza di una persona che finge di amarla per puro profitto.

Queste ultime sei parole, scandite con chiarezza, la fecero sentire come se una voragine si aprisse sotto ai suoi piedi. Istintivamente abbassò lo sguardo e il signor Luthor capì che era riuscito nel suo intento. Sorrise e le disse:

-       Le lascio due giorni di tempo per darmi una risposta. Buona serata.

Gloria non lo vide uscire: teneva lo sguardo fisso al pavimento e non riusciva a risollevarlo da lì. Rimase molti minuti in quello stato catatonico, paralizzata dal dubbio che si era insinuato nella sua anima come un virus mortale. Alternò momenti di pura diffidenza a momenti in cui si sentiva un verme a non credere all’uomo che amava. Stava male.

Quando si riscosse, osservò l’orologio; erano le sette di sera, nel giro di un’ora sarebbero ritornati i suoi tecnici. Non voleva che la trovassero in quello stato, così concluse in pochi minuti la preparazione del primo prototipo di fertilizzante e lasciò loro due righe di istruzioni, quindi tornò a casa.

 

Passeggiava lungo la strada che portava alla fattoria dei Kent. Cenando nel silenzio del suo appartamento era giunta alla conclusione che l’unica persona che potesse aiutarla a capire era Clark: conosceva Lex da molto più tempo di lei, insieme ne avevano passate di tutti i colori, e soprattutto le sembrava una persona estremamente buona e leale. Per di più, era l’unico a sapere che lei e Lex erano insieme… L’unico oltre a Lionel, evidentemente.

Bussò alla porta di casa Kent e la accolse Martha, sorpresa di quella visita ma comunque gentile e ospitale come sempre.

-       Gloria, accomodati! E’ successo qualcosa? Ti vedo strana…

-       No, non si preoccupi… C’è Clark?

-       Sì, è nel granaio, vuoi che te lo chiami?

-       Non è necessario, lo raggiungo io… Sempre se non disturbo.

-       Affatto! Vai pure! - le disse con un sorriso.

Clark stava armeggiando con un periscopio; la vide arrivare e la fece accomodare su un vecchio e comodo divano. - C’è qualcosa che non va?

Lei gli raccontò tutto per filo e per segno, spiegandogli che in quel momento non sapeva come comportarsi con Lex. Non aveva nemmeno risposto al telefono, quella sera, perché temeva di non riuscire a parlargli. Clark la ascoltava con attenzione e alla fine le disse:

-       Ma cos’è, quindi, che ti fa stare male?

-       Non lo so nemmeno io; forse il fatto di dubitare di lui. Lex merita qualcuno che lo ami credendo ciecamente in lui, e in questo momento quella persona non sono io.

-       Sai, in molti mi hanno detto di diffidare di Lex, inclusi i miei genitori. Io ho voluto dargli l’occasione di farsi conoscere al di là del suo passato e del suo pesante cognome, e si è rivelato un amico prezioso. Alcune volte anch’io ho dubitato di lui, ma alla fine gli ho sempre creduto.

-       E lui come ha preso i tuoi dubbi?

-       Li ha capiti. In ogni caso, non hai pensato che forse questo è l’ennesimo tentativo di Lionel per danneggiare il figlio?

-       Certo, è la cosa più logica ed è la tesi che sto abbracciando. Non capisco allora perché ci sto così male.

-       Ma è ovvio… Perché lo ami - disse sorridendo.

-       Cosa è giusto che faccia, Clark?

-       Segui il tuo istinto e il tuo cuore. Non ti tradiranno.

Lo abbracciò e lo ringraziò per i preziosi consigli, quindi si avviò per la strada. Aveva lasciato a casa la bicicletta, così, camminando, ebbe tutto il tempo per decidere dove andare. Il suo cuore la spingeva verso la residenza dei Luthor e fu lì che si diresse, sebbene alcune nuvole minacciassero pioggia e fossero ormai le dieci e mezza di sera.

Arrivò a casa di Lex verso le undici, un po’ bagnata visto che aveva iniziato a piovere con insistenza da dieci minuti. Suonò il campanello e dopo alcuni istanti Lex aprì la porta; indossava un pigiama di seta blu e una vestaglia dello stesso colore.

-       Gloria! E’ successo qualcosa? - chiese preoccupato, vedendo la sua aria sconvolta. - Accomodati, ti porto un asciugamano. Mi hai fatto preoccupare, non rispondevi al telefono…

-       Ti chiedo scusa, anche per l’ora. Stavi dormendo?

-       No, ascoltavo un po’ di musica.

Gloria iniziò ad asciugarsi, Lex la condusse davanti al camino acceso. - Ti devo parlare.

-       L’avevo intuito. Dimmi.

-       Oggi tuo padre mi ha proposto di tornare a Metropolis.

-       Cosa?

-       Proprio così. Mi ha detto che “Terra di Smallville” ti serve per metterlo in ginocchio e obbligarlo a cederti la Luthorcorp in blocco e che solo per questo non l’hai seguito a Metropolis… E solo per questo io e te stiamo insieme.

Il ragazzo rimase in silenzio un attimo, mordendosi le labbra, le mani sempre in tasca. Guardava altrove quando le chiese:

-       E tu gli hai creduto?

-       Tu cosa dici, Lex?

-       Se sei qui, è perché cerchi risposte. Ebbene sì, ciò che dice mio padre è quasi tutto vero. Volevo scavalcarlo, studiavo un piano per farlo. Quel famoso plico giallo che mi hai portato da Metropolis conteneva tutti i documenti necessari.

Gloria sentiva quella voragine farsi sempre più ampia; dalle parole di Lex arrivavano conferme a quelle di Lionel. Si riscosse, però, quando lui, riportando lo sguardo sui suoi occhi, continuò:

-       Poi però è successo il tuo incidente, operato dagli scagnozzi di mio padre. Era una sorta di avvertimento, sapevano di colpirmi in un punto debole, e ci sono riusciti. Da allora ho lasciato perdere tutto, concentrandomi sul tuo progetto, così promettente e pulito. Con l’illegalità ho chiuso, sei libera di credermi o meno.

-       Ma allora… Perché tuo padre mi ha fatto questa proposta?

-       Non è per appropriarsi del tuo progetto, se è questo che pensi. “Terra di Smallville” poteva essere un’arma potente nelle mie mani, quando avevo quei piani per la testa. Era ad altro che mirava mio padre… Seguimi.

Le fece strada lungo le scale e la condusse fino in camera sua. Gloria non c’era mai stata, era una stanza ampia con un imponente letto matrimoniale in legno. Delle candele profumate emanavano dolci aromi orientali e si udiva un sottofondo di musica classica, evidentemente quella che Lex stava ascoltando prima che lei arrivasse.

-       Mio padre mi vuole a Metropolis per controllarmi. Con te si è giocato la sua ultima carta: portare là la donna che amo, per costringermi a seguirla.

La ragazza aveva le lacrime agli occhi. Lex, da un cassetto del suo comodino, estrasse una scatoletta, dicendo: - Questo è l’unico modo che ho per farmi credere.

La aprì: conteneva un anello bellissimo. Prese la mano sinistra di lei e lo infilò al suo anulare, sussurrandole che la amava. Gloria scoppiò a piangere e lo abbracciò forte; era quello che desiderava con tutto il cuore: potersi abbandonare totalmente tra le sue braccia, senza esitazioni, senza dubbi. Lo voleva disperatamente, per questo era andata da lui quella sera.

Quella notte rimasero insieme, amandosi con l’intensità di due innamorati che trovano il mondo l’uno nell’altro. Non erano più soli, e non lo sarebbero mai più stati. Lex, tenendola stretta, sentiva il respiro regolare di lei sul suo petto e le accarezzava delicatamente la schiena perfetta; sorrideva: per la prima volta in vita sua non si sentì un girasole condannato ad inseguire i sentimenti altrui, sentimenti che non erano mai destinati a lui. Amato, aveva imparato ad amare. E questo, lo sentiva, avrebbe cambiato il suo destino.

 

*FINE *

 

 

 

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