Fan Fiction “elen sila lumenn omentielvo”
Parte terza
Passò la notte
guardando fuori dal finestrino dell’aereo. Non riusciva a dormire e continuava
a pensare a cosa l’aspettava una volta scesa dall’aereo. Perché doveva
conoscere il suo passato, proprio adesso quando stava bene ed era felice. Lo
chiese a Lex, ma lui stava dormendo. Decise di non svegliarlo e di fare una
visitina al comandante del jet privato dei Luthor. Parlò con lui, della vita,
del lavoro e di come si pilotava un aereo. Tutti quei pulsanti corrispondevano
ad un comando ben preciso. Non sono ammessi errori, pena la vita. Gli chiese se
avrebbe mai avuto venduto uno dei suoi figli per un milione di dollari. Lui,
pensando che fosse uno scherzo, rise, ma quando si accorse che quello che gli
era stato chiesto corrispondeva al bisogno effettivo di avere una risposta
seria, rispose che, per un genitore, i figli sono la cosa più preziosa al
mondo. Non c’è ricchezza che compensi la perdita di un figlio e che, se un
padre o una madre decidono di lasciare il figlio in balia del suo destino, non
lo fanno per soldi, ma perché sono costretti da circostanze molto particolari
della vita. Luthien pensò allora che, se suo padre l’aveva abbandonata, era
perché era stato costretto dalla vita e non perché non le voleva bene. Solo che
non poteva saperlo adesso. Salutò l’uomo, che era stato molto gentile con lei,
e se ne tornò a posto. Chiuse gli occhi e si addormentò, con la speranza del
giorno che l’aspettava.
Gli
ospedali erano posti tetri ma quello li batteva tutti. Era un ospedale
psichiatrico e l’uomo che stavano per incontrare era rinchiuso nella camera 56.
L’inserviente aprì la porta e i due entrarono. Lex disse a Luthien che poteva
anche non credere a ciò che avrebbe sentito. Lui stava seduto su di una sedia,
sorseggiando un thè e guardando fuori dalla finestra. Si voltò e fissò Luthien,
dritta negli occhi. Lei si ritirò e si nascose dietro Lex, impaurita. Lo
sguardo di quell’uomo era terribilmente cupo e ghiacciato.
“Salve…
Luthien. Pensavo che non ti avrei più rivista. Mi presenteresti il signore lì
con te?”, disse l’uomo, sorridendo.
“Lex,
non conosco quest’uomo… chi è?”, disse Luthien, con le lacrime agli occhi,
mentre si nascondeva nell’abbraccio di Lex, il quale, invece di stringerla, la
respinse gentilmente e le disse che sarebbe uscito. Se ne andò lasciandola lì,
mentre le lacrime le scendevano lungo le guance rosse.
“Avanti,
siediti. Ah, dimenticavo, non c’è altra sedia tranne la mia. Ti prego siediti
qui mentre io mi sposto sul letto.”, disse gentilmente l’uomo. Luthien si
sedette titubante, aspettando che il suo destino si compisse.
“Mi
chiamo Michael O’Connor. Sono uno dei tuoi tanti padri.”
“Chi?
I miei padri?”
“Si.
Beh, il tuo vero padre è morto poco dopo la tua dipartita. Non ce l’ha fatta a
perderti…”
Luthien
venne così a sapere che i suoi genitori, quando erano giovani, lavoravano per
una ditta di chimica. Sua madre rimase incinta e si sposarono. Un giorno,
mentre stava per andare al lavoro, fu colpita da un forte mal di pancia e
persero il bambino. Non riuscirono ad avere più figli. Il dolore era così forte
che vennero a patti con i loro superiori. Era nata in provetta, con
inseminazione artificiale ed il feto, quando fu grande abbastanza, fu
asportato. Cresciuta per un anno nelle incubatrici, fu restituita poi alla
famiglia, a patto che, raggiunti dieci anni, venisse data in affidamento alla
ditta in cui lavoravano. I genitori avrebbero dovuto inscenare un funerale. Le
sarebbe stata garantita un’istruzione regolare, una vita normale e la potevano
venire a trovare quando volevano. La madre poi abbandonò la famiglia per i
motivi che già sapeva. A otto anni, provvidenzialmente, le accadde di morire
quasi per affogamento. La ditta ne approfittò per portarla via a tuo padre. Lo
liquidarono con dei soldi che non placarono il suo dolore. Preferì suicidarsi prima
di patire ancora per molto.
Fu
trasportata poi in America dove degli scienziati avevano scoperto una nuova
lega, l’empirato, indistruttibile e perfetta per la creazione di nuovi soldati
per l’esercito della patria americana.Lei era solo il prototipo, il campione,
la prima della sua specie. Ma qualcosa andò storto. L’incendio che bruciò
l’intera industria fu causato proprio da lei.
“Che
cosa non andò come volevate?”, chiese Luthien.
“Questo
non posso dirtelo. Sicuramente quello che ti ho riferito lo sapevi già, ma non
posso andare avanti con la tua storia. Devi essere tu a scoprire cosa ha fatto
fallire i nostri piani.”, disse il signore.
“Tu
sei solo un pazzo!”, esclamò Luthien, che voleva uscire da quella stanza.
“Si,
lo ero. Come si può manipolare la vita di un essere umano per creare una bestia
indistruttibile, che risorge quando tenti di ucciderla? Ti sarà già capitato di
sperimentare questo giochino, vero?”
“Si,
ieri mi hanno sparato e mi hanno colpito sullo stomaco. Ora non c’è più
niente.”
“Visto?
Tu non sei una donna, sei figlia del male e, fortunatamente, ci ha pensato tua
madre a salvarti la vita. Te la ricordi?”
“Si,
me la ricordo… Aveva i capelli… neri e…”
“Non
ti ricordi nemmeno come si chiama, vero?”
“No…”,
si mise a piangere, dandosi la colpa di questa grande dimenticanza.
“E’
normale. Ho una foto di lei, con il suo nome. Ecco.”.
Sua
madre si chiamava Nienor. Aveva i capelli lunghissimi, come i suoi, neri tanto
quanto gli occhi. Le assomigliava molto. Ma perché non si ricordava niente di lei?
Girò la fotografia e vide che c’era scritto qualcosa, in caratteri
piccolissimi.
“Quella
è la chiave del tuo passato e di quello di tua madre. Tieni anche questi
numeri.”
L’ora
della visita era scaduta e Luthien doveva uscire. Salutò l’uomo e lo ringraziò.
Si sentiva molto triste, ma il pensiero che la tirava su era che sua madre
l’aveva salvata. Lex le chiese se si sentiva bene.
“Sto
benissimo.”
“Vuoi
dividere con me il tuo passato?”
“Non
adesso, Lex. Portami a casa, ho bisogno di parlare a tutti.”
Il
giorno dopo andò a scuola, un po’ stanca e triste. Quello che le aveva detto
l’uomo lo conosceva già in parte. Doveva per forza risolvere l’indovinello
della foto e dei numeri. Chiese al professore di matematica se, secondo lui,
quei numeri avevano una certa relazione tra loro. Ad una prima occhiata, si
capiva benissimo che erano alternati numeri pari e dispari.
“Lo
zero, ”, disse il professore, “potrebbe segnare la fine di una parola.
Comunque, non esiste una relazione matematica per cui sommando, sottraendo o
facendo qualsiasi altra operazione, si ottiene una soluzione logica.”
Rassegnata,
si decise a risolvere il tutto da sola. Pensò a Chloe e al muro delle
stramberie, ma se le avesse detto qualcosa, lei non avrebbe resistito a
metterci di mezzo il Torch. Lana non le sembrava la persona adatta. Poi non
voleva stressare Pete con i suoi problemi. Forse Clark le avrebbe dato una mano
volentieri. Anche Lex ci aveva provato, ma niente. Chiusa nello studio del suo
papà-fratellone, si lambiccava il cervello. E se Lionel, nella sua busta,
avesse delle informazioni su sua madre? Però in cambio delle notizie, voleva
materiale su Clark. Idea scartata in pieno. Poi pensò che non era giusto
escludere Chloe e Lana dai suoi segreti. In fondo, non avrebbe guastato il loro
rapporto. Anzi, sarebbe più giustificabile che fossero loro le prime a sapere
tutto e non Pete e Clark. Prese la cornetta e li chiamò, tutti e quattro. Dopo
un po’ erano tutti riuniti nel gazebo nel giardino, sul retro della tenuta
Luthor.
“Ragazzi,
vi ho convocato tutti perché ho bisogno del vostro aiuto. Però prima vi devo
raccontare chi sono veramente…”, e parlò della sua vita precedente. Anche Lex
partecipò alla riunione, perché Luthien non gli aveva spiegato l’intera
faccenda e voleva vederci chiaro.
“Se
fossero tutti sinceri come te…”, disse Lana, con una vaga impressione di
riferirsi a Clark.
“Devo
scoprire chi era mia madre. Qui con me ho una foto di lei, il suo nome, un
testo scritto in una lingua incomprensibile ed una lista di numeri. Mettiamoci
al lavoro e risolviamo il rebus. Si capisce che si tratta di un messaggio
crittografato, scritto con molte probabilità da mia madre prima che io venissi
affidata ai miei nuovi genitori.”
“Lulu,
non c’è dubbio che sia diretto a te. Questo è un poema scritto da Tolkien in
elfico, intitolato Il canto di Luthien e Beren. Parla della travagliata storia
d’amore tra Beren, un uomo, e Luthien, la figlia del re degli elfi della terra
di mezzo. E’ scritta in Quenya, una delle lingue elfiche inventate dall’autore,
e dovrei avere una copia della traduzione.”
Dopo
un’ora e mezza di tentativi inutili, la speranza di Luthien di sapere chi era
sua madre si stava affievolendo. Lana e Clark se ne erano andati, Pete si stava
addormentando mentre Chloe fantasticava sulla prima pagina del Torch, tutta
dedicata a Luthien ed alla sua storia. L’aiuto dei suoi amici si rivelò inutile
e Luthien congedò anche gli ultimi due, scongiurando Chloe di non pubblicare
niente su di lei. Aveva gli allenamenti di corsa e non poteva mancare
assolutamente, la finale era di lì a due settimane poco più. Per un po’ si
distrasse dai suoi problemi e dette il meglio di sé battendo il record della
campionessa dell’anno passato di quasi un secondo. L’allenatore le annunciava
un’imminente vittoria se avesse continuato così, anche se non era tra le
favorite alla vittoria come per quello stupido concorso di reginetta. Uscita
dagli spogliatoi, trovò di nuovo Chloe, nel suo ufficio, a trafficare con gli
articoli scritti dai suoi giornalisti. Le chiese come stavano andando le
elezioni. Lana era in testa con trenta voti in più mentre lei era seconda. Le
confidò poi che, se avesse vinto la gara, avrebbe sicuramente acquistato i voti
dei ritardatari. Lex arrivò e Luthien se ne andò.
Arrivata
a casa, si rifugiò nella sua camera perché le era ritornato in mente l’enigma.
Provò a vedere quale era il numero più alto era un multiplo di 26. “Le lettere
dell’alfabeto sono 26…”. Prese ancora la lista che le dette l’uomo e si recò da
Lex, chiedendogli se avesse una macchina fotocopiatrice. Copiò la lista e la
ingrandì. Sotto ogni numero poi scrisse le lettere delle parole del testo. Le
ordinò partendo dal numero zero e…
Cara
Luthien,
Sono tua madre.
Quando leggerai questo messaggio sarai dai Luthor, che ti hanno adottata. Sei
una ragazza molto speciale, e lo sai. Ti ho donato questi poteri quando avevi
sette anni, poco prima che conoscessi Lex, il tuo papà-fratellone. Lui ti vuole
molto bene e non lascerà che nessuno ti faccia del male. Ma preservalo da sé
stesso e dal suo cattivo futuro. Lionel conserva alcuni dei tuoi segreti, devi
sottrarglieli con l’inganno molto presto. Hai degli amici stupendi, Clark,
Pete, Lana e Chloe, non perderli. Non incolparmi della tua infelicità, perché
ho dovuto lasciarti contro la mia volontà. A proposito, Clark è molto speciale,
anche più di te. Io ho qualche cosa in comune con lui… Oggi è il ventidue
settembre 1991… tra poco dovrò lasciarti. Ti voglio bene. Anche tuo padre te ne
ha voluto tanto. Arrivederci, piccola Luthien…Lex stava nella sua camera,
seduto sul letto, con il computer portatile appoggiato sopra le coperte. Doveva
sbrigare del lavoro ma si sentiva molto stanco. Non trovava un posto migliore
di quello per farlo, anche se si era promesso di non contaminare mai quella
piccola porzione del castello con i suoi affari. Costatando che le palpebre
compivano uno sforzo estremo per rimanere aperte, decise di chiudere tutto e di
mettersi a dormire. La porta bussò e apparve Luthien. Teneva il capo chino ed
un pezzo di foglio in mano. Stava piangendo e non sembrava proprio calmarsi.
Parlava singhiozzando e quel poco che si capiva era che sua madre le aveva
scritto veramente un messaggio per lei. Lex prese il foglio e lesse ad alta
voce…
Caro Lex,
prenditi cura
della mia piccola Lulu. Non mi hai mai conosciuto, ma io si. Stalle accanto. Ti
aiuterà. Tuo padre sta cercando di attirarla nella sua trappola, chiedendole di
sacrificare alcune delle sue amicizie per conoscere il suo passato. Lui ha
avuto a che fare con la mia famiglia. Ti prego, non ti precipitare da lui e no
ti vendicare, lascia che Lulu faccia il suo dovere. Lei sa cosa fare… Ciao Lex,
tua madre era una persona ammirevole. Mi manca tanto e manca pure a te. Anche a
tuo padre.
“Questo non era
quello che c’era scritto! Fammi vedere…”. Luthien tolse il foglio dalle mani
dell’altro
Scusami Lulu,
mi sono scordata di dirti di bruciare la mia foto, il testo ed i numeri. Sai,
la mia memoria non è mai stata molto efficiente. Mi raccomando, fallo. E dì a
Lex di trovarsi moglie! E’ cambiato così tanto quando sei arrivata tu… Un
bacio.
“Tua madre
aveva del senso dell’umorismo…”, disse Lex, sorridendo. Luthien sbuffò una
risata.
“Mia madre mi
ha donato i miei poteri quando aveva sette anni, ma i miei ricordi risalgono
solo all’anno in cui ti ho conosciuto. Lei sapeva del mio futuro e forse lo ha
fatto per darmi un’arma per proteggermi… Lex?”
“Si, ho capito.
La parte destra è mia.”
“No, è mia!”
Lottarono per
avere la parte destra del letto ma, questa volta, vinse Lex, facendo quasi
soffocare Luthien dal solletico. Il giorno dopo si svegliarono entrambi un po’
assonnati. Avevano continuato a parlare per tutta la notte delle loro avventure
da piccoli, di quale era la carta migliore per giocare un tiro mancino a Lionel
e di tante altre cose. Si dissero di non affrontare il discorso “mamma”.
Luthien non aveva studiato molto in quei giorni e, per la prima volta, prese
una “misera” B. Gli allenamenti non andarono molto bene, ma non si preoccupò di
niente. Anzi, andò dallo psicologo scolastico, il quale la informò che stava
nettamente migliorando e che, se aveva trovato la felicità in casa Luthor,
doveva continuare a camminare per la sua strada e sarebbe stata ancora meglio.
Anche se questo non significava che avrebbe consigliato al preside di abbassare
le armi, non avrebbe più corso il rischio di essere portata via dai suoi nuovi
genitori da un momento all’altro. La vita andava sempre per il meglio e nei
giorni successivi, Luthien raggiunse il top del benessere.
Pete, Clark e
Chloe avevano allestito una specie di banchetto per sostenere sia lei che Lana.
Era buffo vedere due sfidanti sostenute dalle solite tre persone.
“E’ divertente,
non ti pare?”, le chiese Lana, spuntata alle sue spalle.
“Sarebbe stato
ancora più divertente se tu avessi invitato Clark al ballo. Lo sai come sono i
tipi come lui… timidi, ma quando sanno di aver fatto centro, non c’è nessuno
che li fermi…”
“Eh, già…
comunque devo andare al Talon per fare l’apertura. Ho tanto lavoro da
sbrigare!”
“Vuoi che ti
dia una mano?”
“Volentieri… grazie!”
“Non c’è di
che!”
Tra lo stupore
degli altri studenti che non avevano mai visto due “rivali” amiche, lasciarono
la scuola. Luthien aiutò Lana a riassettare il locale, rimettendo a posto le
sedie, spolverando e spazzando, mentre l’altra riforniva i frigoriferi e
sbrigava l’aspetto economico del locale. Le piaceva proprio quel posto, si
sentiva come a casa, era così comodo e accogliente, tranquillo e delizioso.
Dopo che ebbero finito, si concessero una pausa di almeno un quarto d’ora,
parlarono e bevvero un ottimo tè. Lana
le disse di non aver trovato ancora il vestito adatto per questa festa e anche
Luthien le confessò che non sapeva proprio cosa mettersi. Non aveva mai
partecipato a feste del genere e quindi si sentiva quasi come un pesce fuor
d’acqua. L’importante, come le disse l’altra ragazza, era vestirsi eleganti,
farsi belle fino a scoppiare e comportarsi come delle vere signore d’alta
classe, almeno per una sera. Il campanello attaccato alla porta suonò al suo
aprirsi e le due si misero dietro al bancone, aspettando i clienti.
Entrarono
quattro ragazzi, dei giocatori di football ma non erano di Smallville perché
Lana non li conosceva. Si avvicinarono al balcone e chiesero da bere. Si
sedettero ad un tavolo, parlando di sport ed aspettando le loro bevute. Mentre
Luthien le stava preparando, le confidò che quei tipi non le piacevano per
niente. L’altra le disse di non preoccuparsi e si allontanò per portare
l’ordinazione ai quattro. Luthien li osservava con i suoi occhi animaleschi,
vide che uno di loro era abbastanza agitato e stava sudando, uno era calmo e
sembrava essere tranquillo. Uno invece si alzò e andò verso il bagno. Non
potendo vedere attraverso il muro, non notò se si recava veramente lì. Il
quinto, invece, faceva il bullo e si prendeva gioco degli altri.
“Ecco le vostre
birre.”, sentì dire a Lana. Poi si avvicinò al balcone ed esclamò: “Non tutti
sembrano quello che sono!”
“A chi lo vai a
dire…”, rispose Luthien, ma Lana non sembrava aver capito. Continuava a
fissarli mentre sorseggiavano maldestramente la birra e, dal loro odore,
sentiva che erano quasi ubriachi. Forse avrebbero causato dei problemi. Poi se
ne andarono, lasciando i soldi sul tavolo. Lana si stava avvicinando per
prenderli.
“Non c’è
mancia, mi dispiace.”
“Ma come hai
fatto a vederlo? Ci sono quasi sette metri di distanza dal bancone a qua!”
“Ho una vista
molto acuta…”
Dopo una
mezz’ora il locale era ancora vuoto. Le due continuarono a confabulare, a
ridere ed a scherzare fino a che Luthien non interruppe l’altra, che le stava
raccontando un aneddoto molto divertente. Si avvicinò al tavolo dei quattro,
già usciti da molto tempo. Il loro odore era ancora nell’aria, molto
probabilmente erano sempre nei dintorni. Non si ricordava di averli visti tutti
e quattro uscire dal locale. Disse a Lana di stare ferma, in silenzio, dietro
al balcone, pronta per premere l’allarme al suo fischio. Si diresse senza far
rumore, come solo una leonessa sa fare quando sta per catturare la preda, verso
il bagno. L’odore si stava intensificando. Sentì dei rumori provenire
dall’interno. Con una pedata spalancò la porta e vide che tre uomini con il
passamontagna erano lì, pronti a fare irruzione. Furono colti di sorpresa. Uno
di loro aveva una pistola e la puntò su Luthien, che fu pronta a fischiare.
“Non ti muovere
ancora o sparo!”, urlò quello armato.
“Fallo pure,
non mi ucciderai facilmente…”, disse Luthien, che stava lì impalata a fissarli,
con gli artigli pronti per sputare dalle sue mani. Fece un passo avanti ed un
proiettile le sfondò il petto. Lana urlò fortissimo. I ladri si avvicinarono a
lei; uno di loro stava brontolando chi aveva sparato perché gli aveva promesso
che non ci sarebbero stati danni. Un altro colpì Lana alla testa e presero
tutti i soldi della cassa. Stavano quasi per andarsene, quando inciamparono sui
loro stessi pantaloni.
“Dolcetto o
scherzetto?”, disse Luthien, che aveva usato abilmente i suoi artigli per
tagliare i pantaloni dei malviventi e per aumentare il loro tempo di fuga. Voleva ritrarre i suoi artigli ma i
quattro si stavano rialzando, reggendosi i brandelli di stoffa con le mani.
“Eh, no! Io
preferisco lo scherzetto!”, esclamò, puntanto le sue armi migliori alla gola di
uno di loro.
“Ma come hai
fatto? Ti ho sparato al cuore!”
“Si ma io no
sono una normale… Vedete, sapevo che avreste combinato qualcosa si stupido,
così vi ho messo una potente droga animale nelle birre. Tra un po’ sarete nel
mondo dei folletti e delle lucertole parlanti. Nessuno crederà mai a quello che
avete visto… mi dispiace per voi.”
La
polizia arrivò in tempo. Lana era rinvenuta e, quando vide Luthien, le chiese
come mai era ancora viva perchè pensava le avessero sparato. Le portarono
all’ospedale. I quattro finirono in prigione dopo qualche processo.
“Ragazza
sventa rapina al Talon e fa arrestare i malviventi. Quattro in carcere. Sei
stava forte, Luthien.”, esclamò Pete, “Hai usato i tuoi artigli vero? Perché
sono fantastici, li vorrei anche io…”
“Di
che artigli state parlando?”, chiese Chloe incuriosita, appena arrivata e già
desiderosa di sapere l’oggetto della questione.
“Dei
miei artigli di femmina, che hanno stregato i quattro e che li hanno fatti
arrestare. Tutto il sesso gentile ne possiede un paio.”
“E’
stato un bel colpo, Luthor, adesso vincerai sicuramente l’elezioni…”
“Ma
dai, Chloe! Sono stufa di queste cose, mi devo concentrare sulla scuola e sulla
corsa. Tra due giorni ci sono le selezioni per la finale e solo una della mia
squadra potrà accedevi.”
Il
pomeriggio venne dedicato interamente allo sport. Corse a più non posso e migliorò
di netto i suoi tempi. Era sicura che ce l’avrebbe fatta ad ottenere almeno il
terzo posto… Le partenze non erano il
suo forte ma recuperava sempre durante il tragitto, si doveva solo concentrare
sugli scatti. L’allenatore le disse che il posto alle finali era conteso tra
lei ed altre due ragazze, così le chiamò per fare una piccola sfida tra loro.
Prima provarono per due volte i cento, poi i cinquecento. Luthien ce la mise
tutta, ma arrivò sempre ultima. Era al limite della stanchezza e non ce la faceva
più.
A
casa, Lionel le ronzava sempre intorno, chiedendole come andava a scuola, lo
sport, le sue passioni. Insomma, le fece il terzo grado e lei era sempre più
intenzionata a sapere il contenuto di quella maledetta busta. Fortunatamente
arrivò Lex, il che significava la fine delle torture del padre. Anche lui si
complimentò con lei, solo che era preoccupato perché Luthien aveva mostrato i
suoi poteri in pubblico. Tentò di farlo calmare spiegandogli che, mentre
preparava le bibite a quei ragazzi, aveva mescolato alla birra del veleno di un
rospo africano o giù di lì. Aveva letto in un libro che quella droga, se
ingerita dall’uomo, provocava allucinazioni e i poliziotti, se avessero fatto
loro il test per rilevare alcool e stupefacenti, avrebbero trovato delle tracce
residue del veleno. Non c’era quindi da preoccuparsi.
“Ma
i tagli sui pantaloni? E la polvere da sparo sui loro vestiti? Per non parlare
del proiettile sparato e scomparso…”
“Tu
ti fai troppi problemi, Lex!”
“E
tu non ti rendi conto di quelli che causi usando i tuoi poteri… Comunque, non
so se potrò venire a vederti per la gara. Ho una riunione di lavoro e non posso
mancare. Forse ritarderò, forse non mi vedrai. Mi dispiace, so quanto è
importante per te.”
“Fa
niente. Ci saranno gli altri che tiferanno per me.”
E
finalmente arrivarono le finali. Luthien era così tesa che riusciva a stento a
mangiare. Bastava toccarla per farla sussultare. Negli ultimi tempi aveva
concesso meno spazio allo studio ed i suoi voti erano leggermente calati, ma
sempre più alti degli altri. In classe, continuava a guardare un punto fisso,
rimuginando sui suoi pensieri. I professori si lamentarono un po’ ma, vuoi per
il fatto che era una Luthor, vuoi perchè era considerata una sorta di eroina
dopo il fatto del Talon, non si permisero di “disturbarla” quando era
disattenta. Il giorno stesso delle semifinali, era talmente nervosa che per
poco non punta gli artigli alla gola di Luthor padre.
Mancava
un’ora all’inizio. L’allenatore radunò le sue atlete negli spogliatoi per parlare
loro. Spiegò che era solo un gioco, non voleva che fossero spinte al massimo
delle loro capacità, ma voleva un impegno totale. Poi chiamò le due favorite in
disparte e Luthien li osservò con attenzione, senza farsi scoprire. Non
riusciva a sentire bene, benché il suo udito animalesco glielo permettesse.
“Forse Lana ha ragione, non c’è bisogno di sospettare di tutto e tutti quando
si sente che c’è qualcosa che non va…”. Si diresse nella loro direzione, non
per unirsi alla discussione, ma per andare al bagno e rinfrescarsi.
Sfortunatamente, lì era più vicina…
“Ragazze,
voglio una di voi alle finali. Prendete queste, vi aiuteranno. Se ci dovessero
essere complicazioni, dite che era solo aspirina. Al resto penso io.”, disse
l’allenatore, porgendo delle pillole alle due atlete e congedandole.
Luthien
sentì che stava per scoppiare dalla rabbia. Sapeva che quelle pillole erano
delle sostanze illegali. Ma la migliore cosa da fare non era mascherare
l’imbroglio, ma giocare con le loro stesse armi. Si concentrò sui suoi poteri,
pensò a sua madre per trovare la forza di sconfiggere le sue avversarie. Non
aveva mai gareggiato per vero e proprio spirito di competizione, ma perché le
piaceva lo sport e voleva dare il meglio di sé divertendosi. Quando sentì di
essere pronta, uscì dagli spogliatoi e raggiunse la pista. Si volse verso il
pubblico e riconobbe i suoi amici migliori, reggenti un cartellone con su
scritto il suo nome a lettere cubitali. Li salutò e si unì alle altre dieci
avversarie. Lei era la numero tre e si dispose alla sua postazione. Luthien
liberò la sua mente e pensò al ghepardo. Si immaginò una bella antilope che lo
aspettava al di là dell’arrivo per essere mangiata.
“Posizione….
VIA!” gridò l’allenatore e partirono. Cento metri non erano molti visti con gli
occhi del pubblico, ma quando erano visti da Luthien mentre correva, sembravano
miglia di chilometri. Vedeva ancora l’antilope che lo aspettava, masticando un
ciuffo d’erba spuntante dalla sua bocca. Ora sembrava più vicina… sempre più
vicina… quasi la toccava… presa!
“Passano
il primo turno dei cento le prime cinque classificate. In ordine di arrivo,
White, Oakes, Melville, Menzies ed infine Blake-Luthor.”. Luthien era arrivata
ultima…
“Vai
Luthien! Siamo qua per te!” gridarono Pete e gli altri dagli spalti.
Facendo
gesto di aver capito, prese un po’ d’acqua dalle borracce poste all’arrivo per
le atlete. White e Oakes eerano arrivate prime come previsto dall’allenatore…
Si disposero tutte e dieci per i cinquecento.
“Posizione…
VIA!”
Luthien
rivide ancora l’antilope davanti a sé. Solo che ora stava correndo
all’impazzata. Il suo istinto animale la sopraffece e sentiva che le sue gambe
si stavano movendo più forte… sempre più forte… presa per la seconda volta!
“Passano
il primo turno dei cinquecento le prime quattro classificate. In ordine di
arrivo: White, Oakes, Blake-Luthor e Adams. I secondi turni si svolgeranno tra
un’ora.”
Lana, Pete e gli altri si precipitarono
per dare manforte a Luthien, che riferì loro dell’imbroglio architettato
dall’allenatore ai danni di tutte le altre atlete. Si fermò a parlare con loro
cinque minuti, dopo di che raggiunse di nuovo le compagne per continuare il
riscaldamento. L’allenatore si arrabbiò con lei, perché non aveva dato il
massimo di sé. Riuscendo a stento a tenere a freno la lingua, Luthien sperò che
l’ora di pausa passasse in fretta perché White e Oakes si erano accorte che
erano soggette alle sue occhiate maligne. Infatti passò in fretta.
“Secondo
turno dei cento metri. Prego, signori del pubblico, disporsi ai proprio posti.
White, Oakes, Melville, Menzies, Blake-Luthor alle postazioni…. Posizione…
VIA!”
Luthien
non vide più l’antilope e, per una frazione di secondo, si sentì persa. Corse
per dieci metri in ultima posizione, poi capì che non aveva bisogno di nessuno
per arrivare al traguardo vincente. “Ghepardo, io sono un ghepardo…”,
continuava a ripetersi nella mente… una falcata dopo l’altra, si gettò a
capofitto della gara, doveva fari vedere all’allenatore che avrebbe vinto anche
senza le sue pasticche.
“Passa
il turno per le finali dei cento metri…”, ci fu un attimo di esitazione perché
l’arbitro dovette ricorrere ai fotogrammi, “Aspettate un attimo, gentili
signori, chiedo l’aiuto della giuria…”
Al
pubblico sembrava scontato che la vittoria fosse della White, perché aveva lo
striscione del traguardo fra le mani e lo sventolava verso i suoi fans come
segno di trionfo. Mentre Pete urlava contro di lei a squarciagola, l’arbitro di
gara richiamò l’attenzione di tutti…
“Ci
scusiamo con le gentili atlete, ma ci sono discordanze tra i membri della
giuria, i quali vedono come vincitrice sia la signorina White che la signorina
Oakes. Non riuscendo a trovare un accordo, chiedo che questo turno venga
annullato. Prego di posizionarsi ai loro posti per una nuova gara.”. Luthien
esclamò qualcosa che suonò come un “vi sta bene, brutte vigliacche”, ma nessuno
tranne lei capì.
Si
ordinò di dover vincere, per forza, e, se non ci fosse riuscita, di denunciare
i tre malfattori…
“Posizione…
VIA!”
“VAI
LUTHIEN!”, urlarono quei quattro scalmanati dei suoi amici.
Sentì
come una forza in più che la sosteneva e corse fino a che, per fermarsi dopo il
traguardo, fu costretta a buttarsi nel prato. Le risate del pubblico
sovrastarono anche la voce dell’arbitro, il quale dette la vittoria, senza
ombra di dubbio, a Oakes. Luthien si sentì sconfitta, anche se doveva correre i
cinquecento. I giudici decretarono l’inizio di una pausa di mezz’ora e Luthien
se ne andò verso i suoi sostenitori, che si erano moltiplicati.
“Guarda quanta gente sta tifando per
te!”, esclamò Chloe, che si era assentata poco prima che iniziasse il secondo
turno dei cento per reclutare altri tifosi. Tra di loro c’era anche Lex, appena
arrivato dalla riunione. Nel poco tempo rimastole a disposizione, Luthien le
parlò che la Oakes e la White stavano vincendo solo perché avevano preso delle
droghe dall’allenatore. Lex promise che avrebbe fatto qualcosa ma lei lo pregò
di non muoversi dalle gradinate e di tifare ed urlare per lei. Sicura che
avrebbe fatto poi come pareva a lui, ritornò alla pista. Non era detta l’ultima parola, ma Luthien
sapeva che aveva già perso. Si mise in posizione solo perché non era giusto
lasciare la partita a metà. Decise di provare un’ultima volta. Sentì la vocina
della sua testa parlare e, anche se aveva cercato di farla stare zitta molte
volte, non sembrava proprio intenzionata a chetarsi. Le diceva di provare ad
essere solo Luthien e non un animale qualsiasi. “Cercherò di essere umana,
tanto so di perdere comunque…”
“Posizione…VIA!”
Partì
come un umana, corse come una ragazza, sudò come una donna, si sforzò come una
femmina sapiens-sapiens… e vinse come sé stessa.
Un’intera
fiumana di gente entrò nella pista, la sollevarono e la portarono trionfanti
fino al podio. Mentre lei continuava a gridare che aveva vinto solo metà della
gara e che doveva spartirsi il premio, si ritrovò in piedi fra mille abbracci e
baci. Dopo qualche minuto la folla era diminuita e lei potè concedersi ai suoi
veri sostenitori… Tutti le dissero che erano orgogliose di lei e che era stata
la migliore perché almeno non aveva barato. La premiazione si svolse in fretta
e furia e le campionesse furono portate ad una festa organizzata in loro onore
che durò per tutta la notte.
La
mattina dopo, Luthien si svegliò con i postumi di una sbornia molto pesante.
Aveva un terribile mal di testa e nel suo stomaco c’erano i carri armati. Andò
da Lex per chiedere se aveva qualcosa per farle passare i dolori ma li le disse
di aspettare che finissero da soli, anzi, che era meglio passare la giornata al
bagno. Infatti, si chiuse lì dentro per uscire solo il pomeriggio, dopo avere
fatto una bella doccia rinfrescante. Aveva voglia di uscire e lo fece. Non si
ricordava granché della festa quindi, andò al Talon, sicura che avrebbe trovato
anche gli altri. C’erano solo Pete, che sembrava essere un po’ arrabbiato, e
Lana, al lavoro. Andò al bancone e chiese un cappuccino.
“Almeno
questo non ti farà uscire di testa…”, le disse Pete.
“Cosa
hai per essere così arrabbiato?”, gli chiese Luthien, che non ebbe risposta,
perché Pete andò via senza nemmeno ascoltare la fine della domanda.
“Ma…
Lana, che gli è preso?”
“Chiedilo
a Clark, sembrava essere il più felice tra tutti noi ieri sera…”, e la lasciò
lì sola. Non capendo che cosa avesse fatto di male, si voltò e vide Clark.
“Ciao,
Clark! Cercavo proprio te. Credo di aver combinato qualcosa di male…”
“Si,
lo hai fatto eccome… non ho tempo per parlarti, devo andare da Lana per
spiegarle tutto.”
Luthien
rimase con un pugno di mosche in mano. Nessuno sembrava disposto a dirle che
cosa aveva fatto quando era ubriaca…
L’ultima
speranza era Chloe, sicuramente chiusa nello studio del Torch. Infatti era
proprio lì, mentre scriveva uno dei suoi pungenti articoli.
“Chloe,
ho bisogno di parlarti…”
“Anche
io! Solo che non ho più voglia di farlo…”, e le sbatté la porta in faccia.
Continuò
a ripetersi che cosa era successo, ma la sua memoria arrivava fino al quarto
bicchiere di birra. Rassegnata se ne ritornò a casa. Lex era nel suo studio con
dei soci d’affari e aspettò seduta fuori dalla porta che la riunione finisse.
Stette lì un bel po’ ed ebbe il tempo di pensare a tutti gli errori che pensava
avesse commesso. Non le venne in mente niente che potesse far imbestialire
tutti i suoi amici insieme. Gli “amici” di Lex se ne andarono e lei entrò.
“Lex,
che cosa è successo veramente ieri sera?”
“Vedo
che non te ne ricordi… ieri sera ti sei ubriacata e, come prima volta, è andata
male. Non eri più te stessa. Nel bel mezzo della festa hai baciato in pubblico
Clark, hai incominciato a cantare al microfono al posto di fare un discorso
come ti avevano chiesto, hai dato uno schiaffo a Chloe e hai offeso Lana
dicendole che era una “morta di sonno”…
“Ah…
secondo te posso rimediare?”
“Beh,
non lo so, i tuoi amici erano molto arrabbiati con te. In compenso, la tua
popolarità sta dilagando… mi ero dimenticato di dirti che questo è quello che
rimane del tuo trofeo della gara…”, le porse un pezzo di metallo dorato
contorto, “Pensavi di essere una rockstar e l’hai sbattuto per terra almeno una
decina di volte.”, si alzò e la abbracciò. “Fidati, tutto si sistemerà. Quando
tocchi il fondo e, credimi, tu non ti rendi nemmeno conto che cosa voglia dire,
le cose possono solo sistemarsi.”
“Grazie
fratellone…”
La
notte rifletté su quello che aveva fatto. Aveva baciato Clark, e perché? Non
gli piaceva neanche! Cantare? Ma se si vergognava anche a farlo davanti a Lex!
Doveva dire però che quella cosa la pensava davvero: Lana era un po’
addormentata. Poteva andare al ballo con Clark ma aveva lasciato che lui lo
facesse con Chloe, la quale si era presa un bello schiaffo, senza motivo.
L’alcol aveva dei brutti effetti sulle persone e si promise di non toccarlo mai
più. Prese la foto di sua madre, che non aveva bruciato come le era stato
chiesto. Prese anche il foglio in cui aveva letto il messaggio per lei.
“Perché
ho fatto questo, mamma?”, chiese al pezzo di carta, come se potesse
risponderle. Forse la sua natura inumana aveva accentuato tutto. Forse se fosse
stata una ragazza come tutte, non avrebbe perso i suoi amici per una cosa del
genere. Voleva essere normale.
Con
le lacrime che le colavano giù dagli occhi, si diresse verso l’ufficio di
Luthor padre. Bussò alla porta e lo trovò lì dentro, mentre parlava al
telefono. Lui la accolse, chiedendole come stava. Luthien preferì andare subito
al punto, voleva quel plico. Lionel ripetè che glielo avrebbe dato solo in
cambio di informazioni. Lei disse che le aveva ma che non poteva parlare così
apertamente, nemmeno nel suo studio. Il posto migliore era fuori all’aperto. Si
dettero appuntamento al gazebo e, dopo qualche minuto, Lionel era già lì, in
attesa della ragazza. Arrivò in ritardo, scusandosi perché era dovuta andare a
cambiarsi i pantaloni, che le erano rimasti impigliati ad un mobile nella sua
stanza e si erano strappati.
“Che
rapporto hai con Clark?”
“Semmai
che rapporto avevo… ora non siamo più amici.”
“Sai
se è bravo a scuola? Se ha fatto qualche assenza strana?”
“Non
saprei, comunque è molto bravo. Quasi quanto me.”
“I
suoi genitori? So che lo hanno adottato, ho sbrigato io le pratiche.”
“Si,
non sono i suoi genitori naturali. Sono due persone molto simpatiche e
gentili.”
“Chi
sono i suoi migliori amici?”
“Beh,
c’è Pete Ross… poi Lana Lang, quella del Talon e Chloe Sullivan, la giornalista
del Torch, il giornale del liceo.”
“Hai
notato dei comportamenti strani, tipo sparizioni e apparizioni improvvise…”
“Sinceramente
no… però una volta me lo sono visto sbucare dietro dal nulla.
“Ne
sei certa?”
“Si,
ma stava solo cercando di farmi spaventare, ero molto tesa per un compito in
classe.”
“Già…
soffre di qualche allergia particolare, malattie?”
“Perché
gira intorno alla questione, signor Luthor?”
“Quale
questione?”
“Ma
cosa vuole che le dica su Clark? Che è un alieno e che viene dallo spazio per
distruggerci tutti? Che il mondo è in pericolo perché presto i suoi
complanetari ci annienteranno tutti?”
“Beh,
non precisamente… Comunque sei stata molto esplicita… pensavo di poter contare
sul tuo aiuto ma, visto che non mi sei tornata utile, non posso accontentarti…”
Luthien
stava scoppiando dalla rabbia e non ce l’avrebbe fatta a trattenersi oltre…
“Senta,
signor Luthor, io so un paio di cosette su di lei… so che sta aggirando suo
figlio per soffiargli il contratto Melville, usando uno dei suoi per
infiltrarsi all’interno della società di Lex. Ora, se non vuole che sveli tutto
a lui, mi deve dare quel plico…”
“Vedo
che l’aria qua intorno la sta influenzando. Bene, mi piace il suo sporco
trucchetto, ti sei guadagnata la mia stima…”
Le
consegnò quello che le spettava. Mentre Luthor padre se ne ritornava al suo
posto nel castello, lo aprì. All’interno c’erano una fotocopia della foto di
Nienor, la stessa che aveva lei, un dossier a suo nome e delle radiografie. Si
mise con pazienza a leggere tutto.
Nome
in codice: USIGNOLO
Numero
dossier: 569877412
Soggetto:
bambina, dieci anni, mora, occhi neri.
Segni
particolari: nessuno
Luthien
lesse solo quello che riteneva più interessante:
Il
soggetto, analizzato scientificamente, ha presentato notevoli capacità motorie
ed intellettuali. Ha spiccate doti artistiche e sensibilità acuta. Posta sotto
osservazione costante, si dimostra vivace ed energica. Durante la notte, soffre
di disturbi del sonno, più semplicemente, di incubi. La separazione dai
genitori le dovrebbe aver causato un danno a livello inconscio. Sottoposta a
test psicologici e scolastici, dimostra di non avere avuto ripercussioni consce
e di avere un Q.I., al di sopra la media nazionale.
Risultato:
idonea alla ricerca, previa cura psicologica.
Poi
c’era un altro fascicolo, un po’ più lungo e decise si saltare la parte
intermedia per andare dritta alla fine.
Soggetto:
USIGNOLO, ragazza, sedici anni, mora, occhi neri.
Il
soggetto si dimostra idoneo agli esperimenti, non ha subito particolari rigetti
da parte del suo organismo. Il metallo innestato nel suo apparato scheletrico,
ha ricoperto tutte le ossa perfettamente. Durante la degenza, non si sono
riscontrati problemi respiratori ma, al momento della riabilitazione, si è
dovuto ricorrere ad uno specialista, in quanto le articolazioni ne avevano
risentito. L’encefalo non ha subito danni, il suo Q.I. è diminuito di dieci
punti. Ha dimostrato però delle capacità insolite, le quali si erano gia
manifestate negli anni precedenti, ma non in modo così evidente. Il soggetto
infatti ha dimostrato di poter cambiare le proprie sembianze con quelle di un
animale a piacere, a patto che ne conosca le caratteristiche morfologiche
principali.
Risultato:
il soggetto è idoneo, con riserve, al proseguimento degli studi. E’ necessario scoprire
l’origine di queste capacità.
Un
rapporto di qualche anno dopo recitava:
I
dottori e gli studiosi si sono trovati d’accordo all’unanimità nel sopprimere
il soggetto Usignolo, il quale ha causato la perdita di due addetti alla
sicurezza. Si provvederà alla sostituzione del soggetto con un altro più idoneo
al più presto. L’ammontare dei danni è ingente, c’è il rischio che i
finanziatori interrompano il loro sostegno. L’incendio non ha raggiunto la sede
centrale del comando e vi sono possibilità di ricostruire la base. L’impianto
marginale è andato distrutto e si è dovuto operare per cancellare le tracce
della causa dello scoppio.
Il
plico era vuoto adesso, ma di sua madre, nessuna traccia. Forse non avrebbe mai
saputo chi era, da dove veniva e che cosa aveva fatto nella sua vita.