Fan Fiction “elen sila lumenn omentielvo”
Parte seconda
I pomeriggi di Luthien
non erano interamente occupati dallo studio e così, per evitare di passarli
senza fare niente, si dedicava alla lettura dei libri della biblioteca di Lex. Alcuni
erano molto interessanti e appassionanti, altri erano veramente noiosi. Appena
ne riconosceva uno che apparteneva alla seconda categoria, lo usava come
lettura prima di andare a letto. Questo accadeva soprattutto quando la stagione
era pessima o non prometteva bene, mentre quando le giornate erano soleggiate,
se ne andava a fare delle passeggiate nei pressi del castello. Aveva ritrovato
la propria pace interiore e sentiva che l’aveva fatto grazie a tutte quelle
persone che le stavano accanto. Viveva una vita perfetta adesso: aveva tutti
gli agi del mondo e poteva fare ciò che voleva. A volte però, di notte, si
sentiva sola e sentiva la mancanza di sua madre e di suo padre. Quando era
piccola e in preda a questi momenti di sconforto, stringeva forte a sé un
animaletto di peluche e adesso, in sostituzione, se rintanava sotto le coperte
di Lex. Spesso lui non c’era ma, il solo fatto di stare lì, anche se sola, le
metteva il cuore in pace. Gli voleva bene come a un fratello e non se ne
sarebbe mai separata.
Lex le diceva di essere affetta da
sindrome di Peter Pan, ma sapeva che, quando dormiva con lei tra le braccia,
non lo faceva perché stava soddisfacendo un capriccio di una ragazza immatura,
ma perché voleva darle tutto quell’affetto che da bambina non aveva mai avuto,
né dal padre, che l’aveva venduta come merce, né dalla madre, che l’aveva
lasciata all’altro genitore perché non si sentiva in grado di crescere una
bambina. Lionel invece si dimostrava del tutto ostile nei suoi confronti: la
accusava di nullafacenza, di rovinare gli affari del figlio nonché la loro vita
privata, in quanto, se aveva un figlio unico, era perché aveva fatto una scelta
di tipo economico. “Con tutti i soldi che avete, potreste campare benissimo
tutta Smallville…” pensò Luthien e si trattenne per non dirlo. Allora, per
dimostrare che non era una nulla facente, prese ad alzarsi presto per preparare
la colazione a tutti, per rifare i letti e per rimettere a posto le camere. Lex
si divertiva molto a vederla maneggiare con gli arnesi del mestiere di cuoca e,
anche se qualche toast si bruciava, non era poi male come cuoca.
La sua specialità erano le torte. A
scuola, Pete si divertiva ad annusarla perché, cucinando, il profumo dei dolci
le rimaneva addosso. Così, quando la voleva prendere in giro, la chiamava
“ragazza vanillina”. Una mattina stava preparando una torta alle mele, la sua
preferita. Mentre stava affettando la frutta, si tagliò un dito. Senza farsi
prendere dal panico, tentò di medicarselo come meglio poteva, creando un’atmosfera
di ilarità generale quando i due Luthor le videro il suo indice, fasciato a più
non posso.
“Ora ci mancava solo una mummia come
cuoca.”, esclamò Lionel, “Perché non ti limiti a fare quello che fanno tutte le
ragazzine della tua età? E, comunque, oggi non ho fame.” Uscì senza nemmeno
salutare, lasciando Luthien che stava per scoppiare il lacrime.
“Negli ultimi mesi è sempre qua nei
paraggi per affari, sicché devi abituarti anche alla sua presenza.”, disse Lex
tentando di calmarla. “A parte questo, devo dirti che oggi non posso
accompagnarti a scuola, né venirti a prendere. Devi andare da te.”
“A me va bene.”, disse Luthien
asciugandosi le lacrime.
“Nel tuo bagno, c’è tutto il necessario
per medicare il tuo taglio.”, disse Lex, ridendo sotto i baffi.
Seguendo il consiglio datole, cercò
quello di cui aveva bisogno e, quando lo ebbe trovato, tolse il bendaggio di
fortuna che aveva fatto tanto ridere quell’antipatico del Luthor maggiore.
“Come è possibile…”, esclamò sottovoce, vedendo che non c’era traccia di
nessuna ferita. Corse in fretta per chiamare Lex, ma era troppo tardi, perché
aveva già oltrepassato il cancello con la sua decappottabile. Ritornò in bagno
e applicò un cerotto dove riteneva ci fosse stato il taglio. Si vestì in fretta
e spiccò il volo dalla sua finestra.
Era presto, quindi aveva tutto il tempo
per fare una ricognizione dall’alto su tutto il territorio. Si ricordò che il
giorno stesso aveva i primi allenamenti di corsa, ma accantonò quel pensiero
subito perché non le importava. Tutto sembrava così diverso dall’alto. Aveva
letto su un libro di Lex che i falchi riescono a vedere molto bene quello che
succede sulla superficie terrestre, anche se sono in volo ad alte quote. Decise
di fare una visitina a casa Kent, atterrò sul tetto del loro fienile per
osservare come una famiglia perfetta si svegli per affrontare una nuova
giornata. Con i suoi occhi di falco, riusciva a vedere anche quel piccolo
topolino che stava rosicchiando un’asta di legno appoggiata alle pareti del
fienile. “Che ci troverai nel legno, piccoletto?” disse, ma quello che uscì
dalla sua bocca, o meglio, dal suo becco, era il tipico verso dei falchi. Clark
uscì dalla porta di casa e guardò incuriosito verso la sua direzione, chiamò
stupito suo padre dicendo che non aveva mai visto un falco bello come quello.
Luthien, se fosse stata in forma umana, sarebbe diventata rossa come un
peperone. Poi sentì che il padre gli chiedeva di rimettere a posto la legna e
di portarla nel fienile; Clark ubbidì e si mise al lavoro. Poi vide il pulmino
giallo della scuola passare davanti al cancello della fattoria ma Clark non
salì.
“Deve aver fatto tardi.” Pensò, e se ne
andò. Era sempre un po’ presto ma si diresse dritta verso la scuola. Atterrò
nei pressi della scuola e, guardando l’orologio della farmacia, capì che era in
ritardo pure lei. Corse a più non posso verso la scuola, sentendosi dire alle
spalle: “Oggi non c’è il tuo amico ultra miliardario che ti accompagna con la
sua spider?”. Non li stette ad ascoltare e si affrettò a raggiungere il suo
armadietto per prendere i libri di matematica. Mentre si avvicinava all’aula
per seguire la lezione, sentì Chloe parlare nel suo studio. Luthien si avvicinò
e si affacciò alla porta per salutarla.
“Ciao, Chloe! Come va il tuo…”. Vide che
stava raccogliendo dei fogli caduti per terra, e che Clark le stava dando una
mano.
“Che c’è, Luthien? Non avrai mica visto
un fantasma?”, disse lui.
Rimase lì a boccheggiare come un pesce,
poi prese a correre e entrò in classe. La lezione era già iniziata.
“La nostra Luthien è arrivata per la
prima volta in ritardo. Un bell’applauso!”, esclamarono i soliti, seduti in
fondo a non fare niente. La classe le applaudiva mentre lei si sedeva con calma
al suo posto. Ripensò a quello che aveva visto. Come poteva essere arrivato lì,
prima di lei? In linea d’aria, dal castello alla scuola ci vogliono tre minuti,
più o meno. Clark aveva perso l’autobus e, anche se avesse preso la macchina di
suo padre, ci sarebbero voluti almeno sette minuti dalla sua fattoria alla
scuola.
“Adesso mi dovrà spiegare come ha
fatto…”; Luthien si impose di fermare Clark e chiedergli spiegazioni. Il
momento giusto era alla fine delle lezioni, dato che anche quel giorno, Lex
l’avrebbe lasciata a piedi. Aspettò pazientemente il termine della giornata
scolastica, ripose il libri all’interno dell’armadietto e lo raggiunse. Era
insieme a Pete.
“Ciao Clark! Ti devo chiedere una cosa
importante, importantissima.”
“Chiedigli tutto quello che vuoi,
vanillina!”, disse Pete ridendo.
“Come hai fatto ad arrivare così alla
svelta a scuola?”, domandò a Clark, che
all’improvviso rimase senza parole, continuando a spostare il suo sguardo tra
Pete e lei, in cerca di una risposta.
“Vedi Luthien”, disse Pete prendendola a
braccetto e portandola verso la porta della scuola, “anche io mi sono chiesto
come fai tu ad essere sempre puntuale, tranne oggi ovviamente, quando Lex non
ti può accompagnare a scuola.”, poi la lasciò e andò da Clark, “Se te la senti
di accettare la sfida, oggi pomeriggio puoi venire a fare una partita a basket
a casa di Clark con me. Se sputerai il rospo, ti darò cinque punti, anzi, sette
di vantaggio. Ci vediamo dopo.”
“Lascialo perdere”, disse l’altro,
“Comunque, se vuoi venire adesso, puoi farlo. Ho bisogno di una mano per
scrivere un articolo sui rifiuti tossici ritrovati nei pressi del fiume.”
“Accetto più che volentieri. Non ho
voglia di vedere la faccia del Luthor maggiore. Sono troppo di buonumore!”.
Presero l’autobus che li scese davanti al cancello della sua fattoria. Vista dall’alto,
non sembrava così vasta.
I genitori di Clark erano molto giovanili
e accoglienti. Erano una famiglia molto unita, si volevano molto bene. Dopo
aver mangiato qualcosa perché entrambi avevano fame, si misero al lavoro su
quell’articolo. Quando Luthien si ricordò degli allenamenti, era troppo tardi;
si sarebbe scusata con il professore inventando una scusa, tipo che si era
sentita male. Si divertì molto a scrivere con Clark: risero, scherzarono e,
alla fine, le chiese se le sarebbe piaciuto avere una raccomandazione da parte
sua per lavorare al Torch di Chloe. Luthien accettò con entusiasmo. Pete arrivò
e Clark si affrettò a scendere per salutarlo. La ragazza chiese se potevano
aspettarla perché doveva chiamare casa. Informò Lex che sarebbe tornata a casa
all’ora di cena e che era da Clark a studiare e a giocare a pallacanestro. Lui
la informò che sarebbe tornanto a casa verso le sette e che non gli dispiaceva
passarla a prendere. Fatto questo ebbe un lampo di genio: scese le scale per
raggiungerli e, quando vide che erano intenti nelle loro conversazioni, ne
approfittò per trasformarsi in un bel pappagallo verde, di quelli che parlano.
Si posò con gran stupore di tutti sulla spalla di Clark dicendo: “Ciao Pete!”,
con la sua voce gracchiante.
“Wow!”, esclamò l’altro, “Non sapevo che
avessi acquistato un pappagallo parlante!”
“Non è mio e non so nemmeno di chi possa
essere! Come farà a sapere il mio nome?”
“Ragazza Vanillina! Ragazza vanillina!”,
gracchiò l’animale.
“Che sia di Luthien? Da una stramba come
lei c’è da aspettarsi questo ed altro. L’hai vista? Sbuca dal nulla dicendo che
Lex non l’ha potuta accompagnare e che è venuta a piedi fino a scuola… Ma come
farà? Sono più di cinque chilometri e non era per niente affaticata! Credimi
quella lì ci nasconde qualcosa…”
“Non viene di certo dalle mie parti!”,
disse Clark accarezzando il pappagallo.
“Infatti sono umana al cento per cento,
ma con qualche riserva!”, disse l’animale, nel frattempo trasformatosi in
Luthien.
“Io te lo dicevo che quella è tutta stramba!”,
disse Pete, sbalordito fino alla punta delle scarpe.
Il pomeriggio continuò con una lunga
chiacchierata sulla vita privata di Luthien e sul segreto di Clark. Vinta la
sfida, lei partì con sette punti di vantaggio e il gioco finì quando Lex arrivò
con il suo decappottabile, a pari merito tra tutti e tre.
“Hai raccontato tutto a Clark, vero?”,
domandò Lex.
“Si. Ma non sembrava tanto stupido,
sicuramente se lo aspettava anche Pete. Non sono molto brava ad inventare delle
storie sul mio conto!”
“Invece dovrai diventarlo. A questo
mondo, i tipi come te finiscono in pasto alla stampa. Credimi, io ci sono
passato per quella vita. Non ti capirai mai quello che sono disposti a fare i giornalisti per speculare sulla tua
immagine.”
“Clark e Pete sono due ragazzi di cui
fidarsi.”, disse quasi offesa Luthien.
“Non è di loro che mi preoccupo. E’ di
gente come Chloe, quella del Torch. Cerca di limitare le tue uscite anormali
quando non sei con me. A proposito, come va la tua ferita al dito?”
“Molto più che bene.”
“Che significa?”
“Che quando sono andata a medicarmi in
bagno, non c’era più traccia di essa, nemmeno una cicatrice piccolissima…”
“Dio mio! Tu sei un fenomeno da
baraccone… Ti posso chiamare Wolverine?”
“Ma chi sarebbe questo Wolverine?”
Arrivati a casa, le fece vedere un numero
degli X-Men. Se non era perché lui fosse un maschio ed avesse un’aria
abbastanza lupesca, sarebbero stati la stessa persona. Lex si stupì che un
fumetto della sua infanzia come quello si sarebbe trasformato in realtà. Decise
che era venuto il momento per fare qualche ricerca sul conto di Luthien, ma
quello che trovò era ben poco per riuscire a scoprire la verità. Cercò
informazioni su tutti gli incendi che avevano distrutto fabbriche, impianti
industriali o di ricerca. Scoprì che un piccolo centro di ricerche dall’altra
parte degli stati uniti era stato distrutto dal fuoco durante quel lasso di
tempo nel quale, secondo lui, Luthien sarebbe scappata. Con l’edificio vennero
bruciati anche tutti i documenti all’interno di essi e quello che si sapeva
veniva dai giornali, i quali parlavano di sperimentazione di nuove leghe
metalliche con materiali innovativi, nient’altro. I vigili del fuoco mostrarono
i loro dubbi sulla natura accidentale dell’incendio. Poi tutti tacquero e non
se ne seppe più niente. Anche la Luthorcorp era legata ad aziende del genere,
quindi decise di estendere la ricerca su tutte le grandi industrie americane,
compresa quella di suo padre.
Scoprì inoltre che, molti anni addietro,
quando era ancora un bambino, degli scienziati erano stati capaci di creare in
laboratorio un metallo più resistente dell’acciaio. Le ricerche furono però
interrotte dal costo elevato degli esperimenti e quel tipo di lega, chiamata
empirato, si rivelò incommerciabile. Secondo fonti segrete, Lex venne a sapere
che l’empirato era davvero qualcosa di stupefacente. Poteva essere lavorato
solo in forma liquida perché, una volta solido, non si poteva modellare, né
fonderlo di nuovo. L’incredibile corrispondenza tra il fumetto e la realtà fu
comprovata dal fatto che la persona che aveva venduto le informazioni alla
stampa, fu dichiarata mentalmente inferma. Quell’uomo era ancora vivo.
La fine dell’anno scolastico stava per
finire e Luthien non vedeva l’ora di essere in vacanza per andare in Europa con
Lex. Lui inoltre le aveva dato la possibilità di portarsi un’amica o un amico
con sé, ma la scelta era ardua. A patto che non invitasse Chloe, per evitare
investigazioni, le permise di scegliere chi voleva. Divenne molto amica con
Clark e le loro spettacolari partite a basket divennero sempre più frequenti.
Almeno ogni due giorni si ritrovavano per continuare e, anche se lui vinceva
sempre perché più veloce, Luthien si divertiva come una matta. Accettò il
lavoro al Torch e Chloe fu molto entusiasta di avere un’altra giornalista di
talento come lei al suo servizio. I suoi articoli parlavano di ecologia,
animali e convivenza pacifica uomo-natura.
Siccome i ghepardi erano tra i più veloci
animali del mondo sulle brevi distanze, si specializzò nei cento e nei
cinquecento metri. Non era tra le più forti, ma qualche gara era riuscita a
vincerla. I suoi voti erano eccellenti, una tra le migliori studentesse del suo
anno.
“Non c’è proprio da lamentarsi di lei.”,
disse il preside, che aveva convocato Lex per parlargli di lei.
“Allora, perché mi ha chiamato. Che cosa
c’è che non va?”
“L’ho osservata a lungo, come lei mi
aveva detto; l’ho fatta sottoporre a varie sedute mediche con lo psicologo scolastico.
Dall’analisi si denota che l’assenza dei suoi genitori le sta creando molti
problemi a livello inconscio. Desidero che un assistente sociale se ne prenda
cura al suo posto per affidarla ad una famiglia, non si offenda, migliore.”
“Ma tra un anno compierà diciotto anni e
tutto questo sarà inutile!”, esclamò Lex, cercando di calmarsi.
“Non mi interessa questo, voglio solo che
trascorra una vita felice, accanto a due genitori che le vorranno bene.”
“Senta, se vuole togliermi l’affidamento,
lo faccia. I miei avvocati penseranno al resto.”. Se ne andò sbattendo la
porta. Ne aveva abbastanza, non potevano fare questo a Luthien e a lui. La
campanella suonò e Luthien uscì dalla porta davanti a lui.
“Lulu, ascolta io…”
“No, ho sentito tutto. Farò in modo di
convincere il preside a non farci questo.”
“Ti prego, torniamo a casa. Ho avuto una
giornata pesante.”
“No, torno da sola, ho gli allenamenti di
corsa. Domenica c’è una gara, è per la finale.”
Lex le disse di aspettarlo al Talon, che
sarebbe passato di lì alla fine degli allenamenti e che avrebbe messo a posto
la cosa a modo suo. Luthien non si calmò per niente e non rese molto.
L’allenatore la rimproverò diverse volte, minacciandola di espellerla dalla
squadra se non si fosse rimessa in carreggiata ma lei non la smise di pensare
che, se Lex non fosse riuscito a risolvere il problema, lei se ne sarebbe
dovuta andare presto.
Uscita dagli spogliatoi, il preside la
fermò per parlare. Le spiegò il motivo della sua decisione e che si sarebbe
trovata comunque benissimo in una nuova famiglia, con madre e padre pronti a
darle l’affetto che le mancava. Anche lo psichiatra lo aveva guidato nella sua
decisione: riteneva infatti che il suo rapporto con Lex non avrebbe giovato
alla sua persona, non per la reputazione più o meno buona che aveva, ma perché,
dopo dopo quello che aveva passato, era consigliabile avere come punto di
riferimento due “adulti”. Luthien annuì a tutto quello che l’uomo le disse ma,
alla fine, disse:
“Lei non può farmi questo. Lex è l’unica
persona a cui voglio veramente bene. Io voglio stare con lui e non con un’altra
famiglia. Capisco che ciò potrebbe non farmi bene, ma non mi interessa. La
scongiuro, mi lasci vivere con lui. Le assicuro che andrà tutto bene.”.
Anche se queste parole non convinsero del
tutto il preside, Luthien fu costretta ad accettare una sorta di ricatto. Se
fosse riuscita a mantenere la sua media scolastica tra le più alte di tutte
quelle mai avute al liceo di Smallville e se fosse stata in grado di arrivare
almeno terza alla gara di fine anno, non le avrebbe più “rotto le scatole”,
come disse l’uomo amichevolmente. Le parole della ragazza gli avevano sciolto
un po’ il cuore. Qualcuno bussò alla porta. Era Lex.
“I migliori avvocati di Metropolis sono
pronti a…”
“Non ti preoccupare”, lo interruppe
Luthien, “ho sistemato tutto io! A volte bastano le parole.”
Un po’ scioccato ma contento, Lex si
scusò con il preside e se ne andò con Luthien.
“Hai fatto una promessa molto
impegnativa, lo sai Lulu?”
“Lo so. Ma credo di potercela fare. Lo
studio non mi preoccupa, è lo sport. Ho vinto solo tre gare su quindici…”
“Vuoi che ti aiuti ad allenarti?”
“No. Questa volta me la voglio cavare da
sola… Anzi, a dire il vero, avrei bisogno di un paio di scarpe nuove… Le mie le
hanno rubate…”
“Che cosa significa tutto questo?”,
esclamò Luthien, appena entrata a scuola, vedendo la sua foto nella prima
pagina del Torch.
“Significa
che se una delle candidate per il concorso a reginetta dell’anno del liceo di
Smallville.”, le rispose Clark.
“Ma
io non mi sono iscritta…”
“Infatti
sono stato io!”, disse Pete.
“Mio
Dio, Pete. Ci mancava anche questa. Perché? Tanto la maggior parte degli
studenti mi odia. Se mi andrà bene, arriverò quarta.”
“Ma
le candidate sono solo tre!” interruppe Chloe, appena entrata.
“Appunto.
E’ una perdita di tempo. Ho già tante cose a cui pensare e non ho bisogno di
pubblicità del genere.”, disse uscendo dall’ufficio del Torch, seguita dagli
altri tre, “Almeno chi sono le altre due candidate?”
“Una
è Lana, in quanto vincitrice del concorso l’anno scorso, e l’altra è Larissa,
la ragazza del capitano della squadra di football.”, rispose Chloe.
“Bene.
Se me ne importasse qualcosa, direi che avrei la vittoria in pugno…”
Quella
giornata era proprio iniziata veramente male e prospettava di finire ancora
peggio. Si era svegliata tardi e, mentre si stava vestendo, era caduta battendo
la faccia per terra. Non aveva fatto colazione e la fame la divorava. Un laccio
della borsa si era agganciato alla porta e così fu costretta a portare i libri
a mano. Nonostante tutto, Lionel le aveva chiesto se poteva fare due chiacchere
con lei.
Arrivata
a casa, si mise a capofitto nello studio e per ore stette chiusa nello studio
di Lex, facendo ricerche e ripetendo quello che doveva ricordarsi a memoria.
Doveva prendere solo delle A nei prossimi compiti per riuscire a mantenere la
promessa fatta col preside. Ogni tanto si prendeva delle pause e si metteva a
giocare a scacchi col computer, che la batteva sempre. Lana le aveva dato un cd
degli Smashing Pumpkins e provò ad ascoltarlo al computer. Gira che ti rigira,
non riuscì a trovare nessun programma per farlo. Allora tentò guardando nei
cassetti della scrivania, dove stavano tutti i cd-rom, pazientemente ordinati
in ordine alfabetico. Le manie di Lex avevano smesso di stupirla da un pezzo e
iniziò la ricerca.
“Che
cosa stai cercando?”. Luthien fece un balzo che le ginocchia colpirono il
cassetto, facendolo uscire e rovesciando tutto il contenuto per terra.
“Ehm…
Niente, signor Luthor, stavo cercando solo un programma per ascoltare la
musica…”, rispose titubante Luthien. Lionel si accucciò e raccolse un cd.
“Questo
è quello che fa per lei…”, le disse, porgendole una custodia con la scritta
Winamp, “Non è eccezionale, ma funziona molto bene e velocemente. Potrebbe
seguirmi nel mio studio, signorina Luthor.”
“Beh,
io non sono una Luthor. Il mio cognome è Blake.”
“Si
lo so, ma tutti la conoscono come Luthien Luthor. Mi dispiace ammetterlo, ma
suona molto bene. E spero che anche il nostro rapporto si migliore di come è
adesso. Possiamo darci del tu?”
“Certo.
C’è qualcosa che devi chiedermi, signor Luthor?”
“Al
bando le formalità. Le volevo dire che mi sono permesso di fare luce sulla sua
questione, dato che le notizie riferitemi da mio figlio non mi hanno
soddisfatto minimamente. Queste informazioni mi sono costate molto tempo e, mi
capisci Luthien, non si fa niente per niente.”, dopo una pausa di cinque
secondi, in cui i due si guardarono intensamente negli occhi, come per leggersi
rispettivamente nelle menti, “Questo plico ti verrà consegnato solo se
riuscirai a consegnarmi certe informazioni su una persona.”
“Chi
sarebbe questa persona?”, chiese Luthien.
“Un
tuo amico, un certo Clark Kent. Sai, credo che non sia quello che da a vedere.
Se accetterai di aiutarmi, saprai che cosa ti è successo veramente e perchè. Se
ti rifiuterai, questi fogli verranno usati per accendere il mio camino. Un
ultima cosa. Qui ci sono documenti segreti per i quali ho pagato migliaia di
dollari.”
“Non
credo che accetterò, né ora, né mai. Clark è mio amico e non voglio perderlo
per degli stupidi giochetti di potere. Non mi interessa sapere che cosa sono se
per farlo devo perdere tutto quello che ho al mondo. Mi dispiace, signor Luthor,
provi con un'altra tattica.”
“Vedo
che l’aria di casa mia ti ha giovato. Ma sappi che non finirà qui. Io non
accetto una sconfitta Arrivederci, signorina Luthor.”
I
suoi rapporti con Lionel furono interrotti molto bruscamente, ma nessuno dei
due ne avrebbe risentito. Luthien sapeva che prima o poi avrebbe giocato
un’altra carta e che lei avrebbe dovuto accettare, ma considerava quel momento
lontano, non ci voleva pensare. I suoi amici erano troppo importanti per lei,
avrebbe venduto l’anima per proteggerli. Decise di andare in città per vedere
come se la spassavano. Il Talon di Lana era semivuoto e ne approfittò per fare
una conversazione con lei.
“Questo
posto è veramente carino. Mi dà un senso di tranquillità e di pacatezza. E’
tutto tuo?”
“No,
beh, in parte lo è.”, rispose Lana, “Sono socia al cinquanta per cento con Lex.
Era di proprietà dei miei genitori e, mentre lui lo voleva demolire per farci
un parcheggio od un supermercato, non ricordo bene, io lo volevo restaurare. E’
una delle poche cose che ho dei miei genitori.”
“Che
cosa gli è successo?”
“Dodici
anni fa, una pioggia di asteroidi ha devasto queste zone. Un meteorite ha
colpito la loro macchina. Loro erano lì dentro.”
“Mi
dispiace molto per loro. E mi dispiace anche che sia dovuta venire a patti con
Lex per mantenere questo posto in vita!”
“Hai
ragione! Ho dovuto combattere duro con lui!”, e risero felicemente.
“Comunque
abbiamo una cosa in comune. Anche i miei genitori sono morti, in un incidente
stradale però. Mia madre, rimasta sempre in buoni rapporti con la famiglia di
Lex, ha specificato, poco prima di morire in ospedale, che fossi data in
affidamento a loro. Lex ha impugnato il testamento e adesso sono una mezza
Luthor!”
“Che
storia triste. Ti trovi bene qua a Smallville?”
“Moltissimo.
Siete tutti molto amichevoli e gentili. Tranne quegli idioti a scuola. Se
potessi…”
“Ma
non sei stata tu a rinchiudere quei tre negli armadietti degli spogliatoi? Per
giorni non si è parlato d’altro. Nessuno poteva immaginare che loro, campioni
di football e maestri del bullismo, si ritrovassero in una situazione del
genere. Clark ha chiesto a Chloe, che naturalmente, da buona giornalista,
sapeva tutto, di tacere sul nome della benefattrice. E’ da lì che ho capito che
eri tu!”
“Arriviamo
tutti ad un punto in cui non ce la fai più a sopportare…”
La
conversazione continuò per un’oretta e sarebbe continuata ancora se il trio
Clark, Chloe e Pete non fosse entrato nel bel mezzo del discorso,
interrompendolo.
“Di
che cosa stavate parlando?”, chiese Clark.
“Di
tutto e di niente.”, disse Luthien, cercando di tagliare corto sulla questione.
In effetti, stavano parlando di lui. Lana le aveva confidato che provava dei
sentimenti per lui ma che non se la sentiva di farsi avanti, perché lui non le
dava impressione di provare lo stesso. Inoltre, anche Chloe era nella sua
solita situazione. Luthien le confidò che, secondo lei, anche Clark provava una
certa “simpatia” nei suoi confronti e che, se gli avesse chiesto di andare al
ballo con lei, lui avrebbe sicuramente accettato e sarebbero stati la coppia
dell’anno.
“In
verità stavamo chiacchierando del ballo di fine anno.”, rispose Lana.
“Già,
è un bel titolo da prima pagina. Chi saranno i cavalieri delle due favorite per
il titolo di reginetta? Ma soprattutto: chi vincerà delle due?”, esclamò Chloe,
con un tono molto ironico, quasi sarcastico-sprezzante.
“Che
c’è, Chloe?”, disse Pete, “Hai paura che una delle due ti soffi il tuo?”
Con
un sorriso ed un’occhiata fulminanti, Chloe sentenziò la fine del suo battibecco
con Pete.
“A
parte gli scherzi, con chi andrai al ballo Luthien?”, le domandò Clark.
“Mah, non so. Nessuno mi ha ancora
invitato. Ho la sensazione che i ragazzi abbiano paura di me… per il fatto che
sono diventata una Luthor. Non gli importa nemmeno se io sono una delle tre
candidate”
“Si,
ti capisco, ma… se proprio ti ritrovi ad essere sola… puoi venire con me?”, le
chiese titubante Pete che, anche se odiava profondamente la sua famiglia, aveva
chiuso un occhio sul cognome e la stava invitando.
“Certo,
sicuro. Mi divertirò molto insieme a te! E tu Lana, con chi andrai?”, le disse
Luthien, colpendola leggermente con un piede, per farle capire a cosa, o
meglio, a chi si riferiva.
“Oh,
si… beh… certo, la lista è lunga, ho ricevuto un sacco di inviti ma… sono
ancora molto indecisa…”
“Ecco,
vedete? C’è chi ha tutto, e c’è chi non ha niente. Nemmeno io ho ricevuto uno
straccio di invito”, disse autoironicamente Chloe.
“Neanche
io.”, disse Clark.
“Credo
che vi dovreste entrambi farvi avanti.”, propose Luthien.
“Io
non ci voglio andare al ballo con Clark!”, gli rispose di botta Chloe.
“A
me non dispiacerebbe.”
“Dici
sul serio Clark?”
“Si.
Allora, ci verresti al ballo di fine anno con me, Chloe?”
“Ok,
va bene, ma non sparire nel bel mezzo della serata come fai sempre!”
Luthien
lanciò uno sguardo interrogativo a Lana, che si limitò a ricambiare sorridendo
tristemente. Si sentiva in colpa, perché se non avesse detto loro di farsi
avanti, non sarebbe successo che Clark invitasse al ballo Chloe invece di Lana.
Comunque era troppo tardi per rimediare perché il trio uscì dalla porta
salutantole clamorosamente. Lana se ne ritornò al balcone che stava quasi
piangendo.
“Lana,
posso rimediare al danno che ho fatto?”, chiese Luthien, implorandola.
“No, grazie lo stesso. Lo sapevo che
sarebbe andata a finire così. Accetterò l’invito di qualcun altro che non sia
Clark. Ci vediamo, ho del lavoro da sbrigare. Ciao!”, disse Lana.
Luthien
se ne andò fuori dal Talon, cercando di trovare un metodo per rimediare al
pasticcio che aveva combinato. Passeggiò un po’ lì fuori, vide una bella rosa
viola e decise di comprarla. Non ne aveva mai vista una simile nei libri.
Sicuramente non esisteva in natura.
“Che
bella rosa viola!”, esclamò Lex, improvvisamente spuntato alle sue spalle.
Luthien trasalì e si punse un dito in una spina.
“Le
rose sono bellissime, ma bisogna prenderle con attenzione, sennò ci pungiamo.
Certe questioni andrebbero proprio evitate per non pungersi.”, disse amaramente
Luthien.
Parlarono
di quello che era successo. Era un vero peccato che Clark avesse scelto Chloe
come sua compagna, ma lo sarebbe stato comunque anche viceversa, cioè se avesse
scelto Lana. Una delle due avrebbe inevitabilmente sofferto. Era brutto essere
contesi tra più persone. Pensi di fare del bene ad una e poi fai del male
all’altra.
“Chloe
mi ha detto che tu e Lana siete le favorite. Io comunque non voterei per te…”
“Perché?”,
domandò stupida Luthien, pronta a sferrare un bel calcio nel caso in cui la
risposta non fosse adeguata.
“Perché
non sei così superficiale da contenderti uno stupido premio come questo.
Nemmeno Lana lo è, assolutamente, ma tra le due…”
“Grazie
Lex. Sono rari i tuoi complimenti ma mi fanno sempre piacere.”
Camminarono
ancora un po’ per le strade, si comprarono un gelato e parlarono del più e del
meno. Nessun abitante di Smallville aveva mai visto un Luthor nelle vesti di
semplice cittadino medio, che conduce una vita apparentemente normale, ma
entrambi provarono una certa soddisfazione nel vedere la faccia della gente mentre
li squadravano, sbatteva gli occhi per capire se avevano avuto un’allucinazione
e se ne andavano con un enorme punto interrogativo sulla testa. Poi salirono in
macchina e andarono a Metropolis. Luthien c’era stata una sola volta e le
sembrava fosse passata un’eternità.
“Benvenuta
a Metropolis.”, disse Lex dopo che furono scesi dalla sua Ferrari nuova di
zecca, rigorosamente nera, “La città del mio passato e, spero, non del mio
futuro. E’ qui che ho conosciuto il divertimento, la gente più chic, gli amici
più leali…”. Il suo tono era molto cinico.
“Devi
proprio averne passate delle belle per avere un così fiero ricordo di questa
meravigliosa città. Non sto scherzando, a me piace.”. Neanche aveva terminato
il discorso, che un manager tutto frettoloso la investì e nemmeno si voltò per
chiederle scusa. “Ti prego, mi rimangio le parole!”
“Mi
dispiace ma non esiste il tasto rewind nel videoregistratore della vita. Vieni,
ti porterò in un posto che a voi donne piace tanto.”
“E
dove? Dal parrucchiere?”
“Apri questo coso quassù che voglio gridare
qualcosa al mondo!”
“Che cosa vuoi fare?”, chiese Lex
ridendo.
“Apri e basta!”, Luthien mise fuori la
testa dal tettuccio apribile della Ferrari. Sentiva l’aria che le si fiondava
sulla faccia a centotrenta chilometri all’ora. Poi si sporse fuori fino al
busto e gridò a squarciagola, “Sono felice!!!”
Rientrò nella macchina e ringraziò Lex
per tutto quello che le aveva dato, una casa, una famiglia, tanti amici, tanto
amore… e un sedile pieno di pacchi, pacchetti e borse! Erano stati a fare
shopping per “rifornire” il guardaroba di Luthien. Avevano comprato anche molte
scarpe, soprattutto da ginnastica e anche degli anfibi, per i quali andava
pazza. Poi avevano comprato dei rollerblades e uno skateboard, così si sarebbe
fatta poi insegnare da Pete. Lex le regalò anche un cellulare, così poteva
essere raggiunta ovunque e le promise che, se fosse passata con bellissimi voti
e se avesse vinto la gara di corsa, le avrebbe comprato anche una macchina e le
avrebbe insegnato a guidare.
“Tutto questo è troppo per me… voglio
dire, non è che mi stai viziando?”
“Viziando? Se mi dici così, significa che
non hai mai visto nessuno veramente viziato!”
“Non è vero! Tu eri una peste da piccolo
e volevi averla sempre vinta!”. Il battibecco durò fino a Smallville, ma si
divertirono entrambi come pazzi.
“Non mi ero mai divertito così in tutta
la mia miserabile vita! Quando ti sei messa quegli stivali con il tacco alto e
sei caduta in terra, ti ricordi?”
“Si, come potrei non farlo… mi fa male
ancora la caviglia…”
Dopo aver portato tutto in camera sua e
averlo riposto con cura nell’armadio, Luthien si mise a studiare. Il giorno
dopo avrebbe avuto il compito di storia e doveva studiare per bene. Dopo
qualche capitolo di interessanti nozioni barocche, guardò fuori dalla finestra.
Il sole era quasi all’orizzonte ed il cielo prometteva di diventare di un bel
rosso. Era la fine di maggio e fuori era sempre un po’ freddo ma si stava molto
bene anche con abiti leggeri. Decise di abbandonare la ridondanza del mondo
secentesco per aprire la finestra e respirare un po’ d’aria pulita. C’era
profumo d’erba fresca, appena tagliata, giù nel giardino. “Già!”, pensò
Luthien, “Da quanto non mi trasformo…” Si accorse che era passata più di una
settimana senza trasformazioni. Si sentiva un po’ a disagio in veste umana e
decise di essere ancora una volta il suo animale preferito, il falco. “Forse,
con la testa fra le nuvole riuscirò a pensare meglio.” Le ritornò in mente
l’invito di Pete per il ballo. Era un ragazzo molto simpatico, custode di due
grandi segreti. Era pure molto carino e le piaceva stare in sua compagnia. Si
complimentò per il buon acquisto fatto in giornata. Rispettando le richieste di
Lex, si limitò a sorvolare il territorio della tenuta Luthor anche se le
sarebbe tanto piaciuto andare a trovare i Kent. Continuò a pensare e a pensare
fino a che era quasi tramontato il sole. Allora si posò sul tetto per riposarsi
un po’. “Mi fanno male le ali!”, esclamò e si mise a ridere, dopo aver sentito
quanto era gracchiante la sua voce. Sentì uno sparo in lontananza e ci mancò
poco che non perdesse l’equilibrio. Ne sentì un altro e si preoccupò. “Ma che
succede qua…”, fece per aprire le ali per spiccare di nuovo il volo ma una
pallottola la colpì all’ala. Urlò da umana e cadde fino alla soglia della
porta. Il proiettile le si era inficcato nello stomaco.
Lex sentì i tre colpi dal suo ufficio ed
il grido gli ghiacciò il sangue. Si precipitò alla finestra ma non vide molto
di quello che era accaduto. Uscì fuori dalla casa e vide Luthien riversa sui
gradini della soglia, con la faccia per terra. La voltò e tentò di rianimarla,
come fece a dodici anni. Il sangue gli aveva ricoperto le mani e i vestiti e se
non si fosse sbrigato l’avrebbe persa per l’ennesima volta. Il battito del
cuore si stava spegnendo e corse fino al telefono più vicino per chiamare
l’ambulanza. Si precipitò di nuovo da lei e la portò in casa. La sdraiò sulla
sua scrivania, gettando brutalmente a terra tutto quello che vi era sopra.
Tagliò la stoffa per scoprire la ferita.
“Non ti preoccupare, Lex. Andrà tutto
bene.”, disse Luthien, con un filo di voce. Esalò il suo ultimo respiro. Era
morta per la seconda e ultima volta. L’ambulanza ancora non era arrivata. Lex
si mise a piangere disperatamente sul corpo della ragazza, che vista così
sembrava tanto una bambina che dormiva. Piangere faceva male ed era da tanto
che non provava un dolore simile. Pianse per molto fino a che una mano gli
accarezzò la testa.
“Te lo avevo detto che sarebbe andato
tutto bene…”
Luthien era ancora viva. Lex alzò la
faccia, rigata dalle lacrime e sporca di sangue. La ferita non c’era più, c’era
solo il proiettile posato sulla pancia, qualche vestito e la scrivania sporchi
di sangue.
“Ma che cosa sei tu?”, gridò Lex che, per
lo spavento, era caduto all’indietro.
“Sono Luthien Blake, conosciuta da tutti
come il secondo flagello Luthor. Non ti ricordi quando mi tagliai il dito e
poco dopo non c’era più traccia della ferita?”, gli chiese Luthien, che si sentiva
un po’ indolenzita alle braccia e allo stomaco.
“Tu mi stupisci sempre di più. Tra poco
arriverà l’ambulanza. Fatti fare un controllo.”
Dopo
che il momento di panico era passato e tutto si era risolto, Lex trovò le
parole per dire a Luthien quello che avrebbe dovuto fare qualche tempo fa. Le
spiegò quello che aveva trovato sul suo conto, dell’incendio di dubbie origini
ad una piccola industria e di un uomo che aveva denunciato alcuni segreti alla
stampa. L’altra, di ritorno da un brutto pomeriggio, con un proiettile da far
analizzare per capire chi le aveva sparato, rispose che non ne voleva sapere
fino al giorno dopo. La cosa non funzionò perché il giorno seguente sarebbero
dovuti andare a trovare insieme quell’uomo e dovevano partire dopo poche ore,
per prendere il primo volo per l’ovest degli Stati Uniti.